venerdì 2 agosto 2024

Pirandello

 







Per circa trent’anni sono stato un appassionato estimatore dell’opera di Luigi Pirandello, lo scrittore del più intransigente nichilismo, del relativismo portato fino alle estreme conseguenze. Lo scoprii all’età di tredici anni e me ne innamorai subito. Ho amato le sue novelle, i suoi drammi, i suoi romanzi. La mia passione era talmente forte che nell’agosto del 1984, trovandomi in Sicilia per un campeggio con amici, mi separai per un giorno intero dal gruppo per affrontare in solitudine un viaggio di ore fino alla campagna del Kaos, tra Agrigento e Porto Empedocle, dove si trova la sua casa natale e la grossa pietra che contiene l’urna con le sue ceneri. Per eccesso di passione letteraria arrivai ad eleggere Pirandello quale maestro di vita, mentore intellettuale, riferimento quasi dogmatico per un pessimismo che in me si andava radicando sempre di più. Ormai vedevo la vita con gli occhi dei suoi personaggi, in particolar modo l’Enrico IV del suo omonimo dramma. Poi un giorno, inaspettatamente, all’età di quarantadue anni il Signore si manifesta nella mia vita, e tutto cambia. Abbandonando un maestro umano e dunque fallace mi metto alla sequela di un VERO MAESTRO, l’unico maestro possibile: Gesù Cristo. Dal relativismo che negava ostinatamente ogni verità assoluta passo all’incontro con la VERITA'. In internet ho scoperto un’intervista che Pirandello rilasciò nel 1936, l’anno della sua morte. Alla fine dell’intervista egli dichiara che l’unica soluzione ai problemi posti dalle sue opere è una “soluzione cristiana”. Sono rimasto sorpreso da queste parole! Da giovane non avevo mai letto questa intervista, o forse mi era passata davanti agli occhi senza che potessi darle il giusto peso. Oggi, ormai ben radicato nella Fede cristiana, voglio rendere omaggio a colui che mi ha guidato fino a un tratto della mia vita, ma voglio soprattutto ringraziare Dio per avermi insegnato che la Verità esiste e porta il nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Di sicuro però questo lo sapeva bene anche Pirandello, nonostante tutto quello che scriveva nei suoi libri non lo lasciasse affatto immaginare.










Copyright © Bruno Canale 2017 (Testo)

LA GIOIELLERIA DEL PARADISO

 



Quando ero bambino andavo spesso nel negozio di mio padre. Lui ci passava l'intera giornata, staccava solo per venire a pranzo. Mi piaceva molto andarci perché la visione di tutte quelle meraviglie luccicanti e multicolori mi faceva sognare. Mio padre faceva il gioielliere. Vedendomi estasiato dalla bellezza dai gioielli esposti in vetrina cominciò ad insegnarmi qualcosa. Intendeva rivelarmi un po' alla volta i segreti del mestiere ma lo faceva col tono incantato e trasognato di chi ti sta raccontando una bella favola. Imparai diversi nomi per me buffi ma affascinanti, e nella mia fantasia di bambino nuotavo come un astronauta in un rutilante universo di topazi, zaffiri, smeraldi, rubini. Una mattina vidi mio padre che prima di uscire di casa stava sistemando alcune pietre preziose in una valigetta scura. Dopo averle deposte una per una con meticolosa precisione richiuse la valigetta e prese dal ripiano della scrivania una grossa pistola che infilò nella fondina nascosta sotto la giacca. Era la prima volta che gli vedevo maneggiare un'arma. Chiesi a cosa servisse quella pistola ed egli mi rispose sorridendo: "Con questa faccio scappare via gli uomini cattivi." Gli uomini cattivi. Due li vidi entrare qualche giorno dopo in gioielleria. Era presente anche mia madre in quel giorno disgraziato, l'ultimo in cui ho visto assieme i miei genitori. Il più feroce dei due rapinatori entrò puntando una pistola contro mio padre e gli intimò di riempire velocemente un sacco che il complice teneva aperto. Papà fece un gesto istintivo ma incauto: allungò di scatto un braccio verso il cassetto del bancone in cui teneva la pistola. Purtroppo quel gesto così imprudente e avventato gli costò la vita.

                                    II


Mia madre si occupò negli anni successivi della gestione dell'attività. In principio presa dalla disperazione stava per abbandonare tutto, ma poi preoccupata di garantirmi un futuro dignitoso volle continuare il lavoro del marito. Crescendo cominciai ad aiutarla anch'io in negozio. Quello che da bambino mi era apparso un mondo pieno di incanto e di stupore diventò un po' alla volta la mia realtà quotidiana, il mio lavoro. Imparai più per dovere che per autentica passione tutto quello che papà voleva insegnarmi fin da bambino. Quando la mamma cominciò a farsi più anziana le subentrai nella gestione, e gli affari per fortuna andavano bene. I vecchi clienti non ci abbandonarono ed eravamo circondati dall'affetto e dalla stima degli altri negozianti del quartiere; essi conservavano un buon ricordo di papà, definito da tutti "uomo coraggioso e onesto".

Un giorno, quando avevo compiuto da poco trent'anni, accadde qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la mia vita.

Ero costretto anch'io a camminare armato quando portavo con me una valigetta piena di preziosi, e in negozio tenevo la pistola nel cassetto del bancone dove la teneva riposta anche papà. Quell'arma era per me un oggetto ingombrante, un peso nel cuore, mi ricordava tragicamente il passato e faceva riecheggiare nella mia mente la voce di mio padre quando mi disse sorridente: "Con questa faccio scappare via gli uomini cattivi." Un pomeriggio, verso le quattro, uno strano individuo dall'aspetto inquietante entrò in gioielleria. Avevo riaperto da poco il negozio dopo la pausa pranzo e stavo mettendo a posto degli articoli in una teca blindata quando sentii che la porta d'ingresso si apriva. Mi voltai di scatto pensando che fosse un cliente. Davanti ai miei occhi c'era invece un uomo malvestito e trasandato, visibilmente sudicio e con un'espressione torva che mi pareva assai minacciosa. Si fermò a circa un metro di distanza dal bancone e cominciò a guardarmi senza dire nulla. Ricordando ciò che era accaduto a mio padre aprii subito il cassetto e presi la pistola puntandogliela contro. Gli gridai con voce tremante di andarsene subito altrimenti avrei chiamato la polizia! L'uomo fissò la pistola spaventato, pallido, quasi incredulo, poi si voltò ed uscì in gran fretta dal negozio emettendo un lamento come se davvero gli avessi sparato. Io rimasi immobile con la pistola puntata nel vuoto, provando una infinita vergogna di me stesso e del mio orribile gesto. Quell'uomo probabilmente era entrato in negozio soltanto per chiedere un po' di elemosina. Doveva essere un barbone affamato, disperato, e io invece di provare pietà per la sua misera condizione gli avevo puntato contro un'arma per cacciarlo via come se fosse un feroce bandito. Nei giorni che seguirono non feci altro che aspettare il ritorno di quell'uomo. Ogni volta che sentivo aprirsi la porta del negozio questa speranza si riaccendeva più forte. Se vedevo che si trattava di un cliente rimanevo addirittura deluso! In tanti anni di attività non avevo mai provato una simile sensazione. Anche quando un cliente acquistava un gioiello costosissimo mi sembrava di non aver guadagnato nulla perché sentivo che il vero "guadagno", il vero "profitto", il vero "arricchimento" non poteva venire dalla merce preziosa che avevo sempre venduto ma da qualcosa che aveva un valore molto più alto ed inestimabile, qualcosa che l'apparizione improvvisa di quell'uomo mi aveva dato per la prima volta la possibilità di percepire con sconvolgente chiarezza. Dovetti aspettare diverse settimane prima di poterlo rivedere. Quando mostravo gli articoli ai clienti sbirciavo continuamente verso la porta di ingresso pregando che da un momento all'altro quell'uomo ricomparisse. Finalmente una mattina, mentre mostravo delle fedi nuziali a una coppia di fidanzati, lo rividi sul marciapiede di fronte che si trascinava stancamente fermando i passanti per mendicare qualche spicciolo. Chiesi ai due clienti di avere un attimo di pazienza e corsi fuori chiamando a gran voce quell'uomo. Non appena mi vide da lontano fece la medesima espressione di quando gli puntai contro la pistola e cominciò a scappare terrorizzato. Gli gridai di fermarsi perché non avevo intenzione di fargli del male, ma lui continuava a correre vedendo in me soltanto una pericolosa minaccia. Attraversai la strada e riuscii a raggiungerlo subito perché il suo passo era quello di un individuo debole ed esausto. Lo fermai afferrandolo per un braccio e gli dissi che non doveva avere paura di me, lo rassicurai anzi che poteva venire in negozio quando voleva perché non lo avrei mai più né cacciato né minacciato con la pistola. Lui mi guardava incredulo e diffidente, allora per dimostrargli le mie buone intenzioni presi dal portafoglio cento euro e glieli posi in una mano. Il suo sguardo si trasformò, da cupo e ombroso diventò aperto e rilucente, ricolmo di sorpresa e di gratitudine. I suoi occhi erano diventati come due diamanti preziosi, infinitamente più preziosi di quelli che avevo venduto per anni; essi irradiavano una luce di incomparabile bellezza. Guardando gli occhi di quell'uomo così pieni di riconoscenza decisi che tutto doveva cambiare nella mia vita, volevo essere illuminato ogni giorno da questa luce meravigliosa di fronte alla quale tutti i gioielli che avevo visto fino ad allora mi sembravano falsi e volgari. Di un altro Tesoro volevo essere ricco, e questa incomparabile ricchezza volevo portare nel mondo.


Abbandonai per sempre la mia attività di gioielliere. Quando mia madre chiese spiegazioni riguardo alla mia decisione le dissi che avevo trovato qualcosa con cui avrei finalmente illuminato la mia vita. La gioielleria fu rilevata, mia madre vive oggi della sua pensione ed io conduco una nuova esistenza. Sono un frate francescano. Vivo in un convento e accolgo insieme ai miei confratelli coloro che hanno bisogno dell'unica ricchezza possibile, quella che viene dalle Parole del Vangelo. Vado ogni tanto in giro a distribuire questa incommensurabile ricchezza che scalda e illumina il cuore, e non ho bisogno di portare con me alcuna arma se non la più potente di tutte, quella dell'Amore, la stessa che usò Nostro Signore Gesù Cristo per vincere il mondo.






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giovedì 26 ottobre 2023

MA DIO CHI LO HA CREATO?

 

Pur accettando che Dio è eterno la nostra ragione non riesce a comprendere come è possibile che Egli non sia mai nato. La peculiarità divina ed esclusiva dell'Onnipotente è proprio quella di esistere "da sempre" . Anche noi diventeremo immortali nell'anima ma restiamo tuttavia segmenti, creature che non esistevano e adesso ci sono. Le nostre vite entrano nel solco dell'eternità e ne fanno parte come un segmento entra a far parte di una linea retta. Come la linea retta anche il Signore non ha inizio e non ha fine. Ricordo che da piccolo domandavo spesso: "Ma Dio chi lo ha creato?". Questa domanda che ho sentito fare anche da adulti dubbiosi rivela l'incapacità dell'uomo di comprendere appieno il mistero dell'essenza divina. La ragione umana può contemplare il concetto dell'immortalità, ma accettare che qualcuno esista "da sempre" riesce impossibile a chiunque. Se volessimo tuttavia sforzarci di immaginare che il Signore sia stato creato da qualcuno, ovvero da un'altra divinità (naturalmente si tratta di un ragionamento per assurdo) alla fine dovremmo accettare per forza l'esistenza di un Creatore che è venuto prima di tutti gli altri e dal quale tutto è disceso, un Ente Supremo che sta all'origine di ogni cosa, un Eterno Padre che è stato fin dal principio Fonte di vita, di luce e di amore per ogni creatura ed ogni elemento dell'Universo. Ciò che la Fede afferma come indiscutibile verità anche la logica umana deve per forza accettarlo e riconoscerlo. 

"tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste." (Gv. 1, 3)





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LA PREGHIERA SALVA LA VITA



La nave non reggeva più le violente percosse del mare in tempesta e il Comandante comprese bene che oramai erano arrivati alla fine del viaggio. Una fine non prevista, non programmata, una fine voluta dal mare insofferente e urlante sotto un cielo greve di nubi. I passeggeri avvertivano distintamente il pericolo nonostante il personale di bordo cercasse invano di tranquillizzarli. L'orchestrina sul palco continuava a suonare motivetti allegri per allontanare la paura e rinfrancare gli animi, ma l'urlo cupo e minaccioso del vento era più forte della musica. Il Comandante si ricordò di una particolare disposizione che l'Armatore aveva lasciato per iscritto nel caso in cui vi fosse un reale pericolo di naufragio. L'Armatore aveva preteso addirittura che questa disposizione fosse inclusa nel regolamento di bordo e che fosse letta ad alta voce ai passeggeri e all'equipaggio poco prima che tutti abbandonassero la nave. Si recò dunque nella sua cabina per prendere il volumetto contenente le regole della navigazione, poi con gli altoparlanti fece radunare tutti gli ospiti e il personale nel salone ristorante per un comunicato urgente. Questo accrebbe ancor più l'agitazione dei passeggeri. Quando furono tutti nel salone egli li invitò alla calma, e un po' alla volta il vociare convulso diminuì. All'inizio il Comandante impartì le solite indicazioni sull'osservanza di alcune regole basilari per l'evacuazione della nave. Le sue parole pronunciate con una calma surreale sortirono l'effetto di raggelare i passeggeri. Il Comandante aggiunse che probabilmente non sarebbe accaduto nulla di grave ma era bene che ognuno sapesse come comportarsi senza lasciarsi prendere dal panico. I primi ad abbandonare la nave sarebbero stati i bambini. Fece anche sapere che aveva già fatto diramare l'S.O.S. e che un mercantile nelle vicinanze aveva già risposto alla richiesta d'aiuto. Finito il suo discorso chiese poi l'attenzione di tutti perché doveva leggere una parte importante del regolamento. Aprì dunque il piccolo libro che aveva tenuto fino a quel momento stretto in una mano e cercò la pagina. Prima di cominciare a leggere preannunciò che si trattava di una disposizione particolare dell'Armatore alla quale lui in qualità di Comandante aveva promesso di ottemperare. I passeggeri si posero silenziosamente in ascolto. Il Comandante iniziò la lettura. Dopo le prime parole spuntò addirittura un sorriso sulle labbra di alcuni, perché dal tenore solenne e un po' ieratico di ciò che stavano ascoltando sembrava che il regolamento di bordo si stesse improvvisamente trasformando in un libro di salmi. Anche il Comandante cominciava ad assumere l'aspetto di un pastore che predica con voce austera e paterna ad un'assemblea di fedeli. Quando giunse al punto cardine della lettura il sorriso ironico che era spuntato sulla faccia di alcuni si mutò presto in una smorfia di indignazione e sbigottimento. Con voce più ferma e scandendo bene le parole il Comandante annunciò: "Tutti coloro che stanno per abbandonare la nave facciano atto di contrizione e si pentano sinceramente dei loro peccati, desiderando che i propri peccati sprofondino per sempre negli abissi del mare al fine di cominciare una nuova vita rigenerata nella Luce del Signore. Soltanto così salveranno il corpo e l'anima, soltanto pregando e chiedendo perdono a Dio. In caso contrario, non salveranno né l'uno né l'altra". Dopo queste ultime parole l'indignazione e lo scalpore dei passeggeri esplosero in un urlo che superò come un boato il fragore delle onde. Non gridavano più per il panico ma urlavano allo scandalo. "Ma che cavolo è questa buffonata?! - domandò incollerito un uomo di mezza età vestito elegantemente - E lei signor Comandante, non si vergogna in un momento simile di leggerci queste insulsaggini? Siamo sul punto di morire e ci parlate di peccato e di pentimento? Fate atto voi di contrizione per non averci garantito un viaggio in perfetta sicurezza! Quando saremo a terra vi denuncerò ed esigerò un cospicuo risarcimento, e penso che molti altri seguiranno il mio esempio. Oltre al danno anche le beffe!" Un grande applauso e grida di "Bravo!" accolsero le parole infuocate di quel signore, ed altri si aggiunsero in una tumultuosa eco di accuse minacciose nei confronti della compagnia di navigazione. Il Comandante non diceva nulla. Rimase in silenzio investito dalla rabbia dei passeggeri e tenendo sempre il libro del regolamento stretto in una mano. "Si penta lei dei suoi peccati! - disse una signora in camicia di seta e gonna lunga - Lei che non ha saputo condurci a destinazione. Ma che razza di Comandante è? Io non le affiderei il canotto di mio figlio di dieci anni!" Una risata generale e fischi di disapprovazione all'indirizzo del Comandante seguirono a questo sarcastico apprezzamento della donna. Il Comandante disse soltanto: "L'Armatore mi ha dato disposizione di leggervi quello che vi ho letto. Ho solo fatto il mio dovere perché lavoro alle sue dipendenze. Ognuno reagisca come vuole". Detto ciò abbandonò la sala seguito da alcuni collaboratori. La sala piombò in un silenzio tetro. I passeggeri si guardarono l'un l'altro senza saper che dire e che fare. Fuori sembrava che nel frattempo il mare si fosse calmato. Alcuni osservarono che forse stavano esagerando con la paura e avevano sbagliato ad offendere il Comandante. In fondo lui aveva ragione, aveva fatto soltanto il suo dovere, perché prendersela con chi non c'entrava nulla? "Siamo tutti molto nervosi e agitati, è comprensibile, ma che senso ha in questo momento così drammatico sfogarsi con il Comandante? Penso che gli dobbiamo delle scuse." " Io non mi scuso con nessuno! - gridò l'uomo elegante che era insorto per primo - Non doveva azzardarsi a leggere quella buffonata che ci ha propinato con tanta leggerezza. Ci ha preso per stupidi? O siamo forse dei bambini a cui fare la predica?" "Già - commentò un altro passeggero che teneva per mano i due figli piccoli - Avete sentito? I bambini devono lasciare la nave per primi, ma penso che almeno a loro non sia richiesto alcun atto di contrizione". Intanto un gruppo di uomini e donne si era appartato in un angolo a pregare. "Ehi, guardate lì - disse un uomo anziano  indicandoli - quelli hanno preso sul serio le parole del regolamento!" "Ma no, rispose un altro - li ho già visti pregare per tutto il viaggio, devono essere di qualche setta, o gruppo religioso" "E che ci fanno in crociera? Forse sono stati loro a portarci sfortuna!" Una nuova risata esplose trasformando quella drammatica riunione in un lieto convegno. Ma un boato coprì all'improvviso le parole e le risate. I passeggeri furono sospinti da una violenta sferzata che fece inclinare paurosamente la nave. Tutti corsero frenetici in più direzioni, confusamente, come palline impazzite. Delle istruzioni appena date per evacuare la nave nessuno ricordava più nulla. Tutti si precipitarono verso le scialuppe di salvataggio. I marinai erano già pronti ad imbarcare i primi gruppi. Mentre scappavano tenendo stretto a sé uno zaino o un borsone da viaggio con gli effetti personali che erano riusciti a raccogliere, i fuggiaschi ricordavano soltanto l'ultima parte del discorso del Comandante. Alcuni pur confusi dall'agitazione cominciarono a pregare e a implorare Dio di perdonarli, altri pensarono solo a mettere in salvo se stessi e i propri congiunti. Quelli che non pregavano si azzuffavano per contendersi un posto nelle scialuppe o soltanto per dare libero sfogo al parossismo della paura. Quelli che avevano pregato col cuore contrito riuscirono incredibilmente a trovare la via della salvezza. Onde alte come palazzi e violente come le percosse di un gigante investirono la nave ricoprendola di acqua e schiuma. Ormai la nave aveva l'aspetto di una montagna da cui fuoriuscivano cascate. Dopo alcuni minuti la montagna diventò una piccola collina. Sempre più piccola, più piccola, fino a scomparire in una voragine d'acqua che la inghiottì sprofondandola negli abissi del mare. I superstiti del naufragio furono presto raggiunti dal mercantile che aveva risposto all'S.O.S. lanciato dal Comandante. Soltanto quando furono tutti in salvo sul mercantile qualcuno si ricordò di lui. C'era chi giurava di averlo visto sul ponte di comando della nave con il libro del regolamento ancora stretto in una mano e alcuni fedeli collaboratori ancora al suo fianco, chi lo aveva visto andare a fondo mantenendo il suo contegno impassibile e austero, chi lo aveva visto nuotare non si sa verso dove e poi andare giù esausto. Tante altre cose furono dette su di lui, ma di sicuro si sapeva solo che non c'era più.

Dopo alcune settimane un gruppo di sopravvissuti al naufragio fu invitato a raccontare il drammatico evento in un programma televisivo. Essi raccontarono anche dell'invito alla preghiera comunicato a tutti i passeggeri poco prima della fine. Tutti gli intervistati, che fino ad allora non avevano mai avuto il coraggio di ammetterlo in pubblico, riconobbero di aver pregato anche negli ultimi spasmodici istanti della fuga, ed erano fermamente convinti che solo grazie alle loro preghiere avevano trovato la salvezza. Questo fatto incuriosì molto i giornalisti che cercarono l'Armatore per intervistarlo. Ma egli non volle farsi pubblicità su una simile tragedia. Inaspettatamente la sua società dopo il tragico naufragio vide aumentare notevolmente il proprio volume d'affari. Contrariamente a quanto si poteva immaginare tutti volevano andare in crociera sulle navi della sua flotta, che furono ribattezzate "le navi della preghiera". Erano convinti che in caso di pericolo si sarebbero salvati pregando, e questo li tranquillizzava. Anche se in vari ambienti laici e religiosi si discusse molto sulla sincerità o meno della preghiera in caso di pericolo, e se un ateo o i seguaci di altre religioni potessero sentirsi al sicuro su quelle navi, molte conversioni ebbero luogo in seguito a quel naufragio. Tante persone, nei mesi che seguirono, riscoprirono il genuino e fondamentale valore della preghiera anche lontano dal pericolo degli abissi, sulla terraferma e nelle consuete vicissitudini della vita quotidiana. I partecipanti alle crociere organizzate da quella compagnia volevano provare durante ogni viaggio l'emozione della preghiera comunitaria. Molti di loro dedicavano vari momenti della giornata alla preghiera preferendo addirittura rinunciare ai numerosi ed accattivanti intrattenimenti offerti su quelle navi.


DUE DOMANDE PER I LETTORI

Il racconto così paradossale che avete appena letto è in realtà un apologo sulla necessità e sull'efficacia della preghiera. Esso mi dà la possibilità di porre a voi lettori due domande. Trovandovi nella drammatica circostanza di un naufragio come quello del racconto vi mettereste a pregare nella speranza di un soccorso divino, o pensereste solo a cosa fare concretamente per salvare voi e i vostri cari? Quanti tra voi ritengono che la preghiera resti l'unico strumento potente ed efficace per trovare la salvezza in ogni sventura e naufragio della nostra vita? 





Copyright © Bruno Canale 2023


giovedì 21 aprile 2022

IL PRESEPE

 

Il Presepe secondo la tradizione si può tenere esposto dal giorno dell'Immacolata, 8 dicembre, fino al giorno in cui si celebra la Presentazione di Gesù al Tempio, il 2 febbraio (questa ricorrenza è conosciuta anche come "Festa della Candelora"). Naturalmente non si tratta di un precetto, dunque ognuno può scegliere liberamente di allestirlo e di smantellarlo quando gli pare. Tuttavia sappiamo che se non è comunemente condivisa la data del suo allestimento lo è senz'altro quella del giorno in cui viene messo via e riposto: il 7 gennaio. La fretta con cui ci si libera dagli addobbi natalizi e dal Presepe testimonia la voglia consumistica di congedarsi da un periodo di festa del quale forse non si è capita fino in fondo l'importanza. Alla frenesia dei preparativi, alla ressa nei negozi per gli acquisti, ai pantagruelici pranzi e cenoni, alla chiassosa allegria delle riunioni fra amici e parenti segue un'aria mesta da festa finita, quasi da "sospirato" ritorno alla normalità. Togliere di mezzo il Presepe la mattina del 7 gennaio rappresenta un doppio errore. Primo perché il Tempo di Natale non finisce il 6 gennaio ma dura fino alla Domenica successiva all'Epifania (Battesimo di Gesù), secondo perché come ho già fatto notare il Presepe si può tenere esposto fino al 2 febbraio. Tuttavia chi ama Gesù sa bene che non è soltanto una questione di date. Così come la data del 25 dicembre non deve essere necessariamente ritenuta "anagraficamente" corretta perché l'evento dell'Incarnazione prescinde il tempo del mondo, allo stesso modo il Presepe che ci ricorda visivamente questo meraviglioso evento può non essere vincolato a un determinato periodo dell'anno. In quella grotta di Betlemme noi abbiamo trovato il senso della vita, il germoglio della Verità, il primo nucleo di una Luce che ancora irradia il mondo. Il Presepe, quell'oggetto vivo e luminoso che fa risplendere la casa nei giorni di festa, quel popolo di statuine che sembrano davvero muoversi e respirare e che tanta delizia procurano ai bambini e riempiono di grazia e intensa commozione il cuore degli adulti, rappresenta ciò che dobbiamo conoscere ed amare per capire il senso della nostra esistenza. Anche noi siamo nati dal grembo di una donna e abbiamo avuto un padre e una madre che ci hanno amato, ecco perché Dio è venuto nel mondo come uno di noi, per farci capire che Lui è il senso ultimo di ogni cosa e che anche noi facciamo parte del senso divino della vita. Alla luce di questa consapevolezza noi potremmo tenere il Presepe esposto tutto l'anno come un oggetto dal valore sacro, come un'immagine in cornice della Natività, o di Maria, o di Nostro Signore Gesù Cristo di fronte alla quale preghiamo. Se nel Tempo di Natale ci raccogliamo in preghiera davanti al Presepe, compreso il dolce e solenne momento in cui deponiamo il divino Bambino nella mangiatoia, non dovremmo desiderare di liberare così presto la casa da un simbolo ricolmo di tanta Luce, di tanto Amore, di Verità eterna e di sublime poesia dell'anima.






Copyright© Bruno Canale 2022 (Testo) 

domenica 16 gennaio 2022

IL CILIEGIO



Un contadino possedeva un magnifico ciliegio. Era l'orgoglio della sua terra. Tutti quelli che passavano sulla strada accanto alla proprietà del contadino ne restavano ammirati. Quando era il tempo della fioritura la campagna tutt'intorno sembrava sorridere compiaciuta davanti a una esplosione così gioiosa di petali rosa. Il contadino raccoglieva insieme a due lavoranti le ciliegie turgide che l'albero produceva in generosa abbondanza. Quelle ciliegie erano profumate e riempivano la bocca con un succo che tingeva le labbra di rosso vivo. Sul banco del mercato le ciliegie del contadino si distinguevano da tutte le altre per il loro colore sanguigno, talmente intenso da sembrare finto. Eppure egli non era felice. Aveva perso la moglie già da molti anni, e i suoi tre figli da tempo non vivevano più con lui poiché avevano preferito emigrare all'estero. Viveva dunque solo ma continuava a coltivare la terra, spinto dalla caparbia volontà di non arrendersi alla vecchiaia e consapevole di non poter fare altro ormai per riempire le sue giornate. Il parroco sognava di vederlo in chiesa durante la Messa, ma il contadino, ormai anziano e senza più sogni né speranze, ripeteva sempre di non voler credere in un Dio che gli aveva causato tante sofferenze e lo aveva lasciato senza i suoi affetti. Quando il sacerdote passava accanto alla sua terra restava incantato a guardare il magnifico ciliegio che esplodeva di frutti. Fu proprio il ciliegio a suggerirgli una riflessione che espose durante l'omelia della Messa domenicale. Commentando il passo del Vangelo in cui Gesù parla dei gigli dei campi e degli uccelli nel cielo, parlò del ciliegio del contadino e disse: "C'è più fede in quel ciliegio che in tanta gente di mia conoscenza. I meravigliosi frutti che ci regala sono il segno della sua lode al Signore". Qualcuno andò a riferire al contadino le parole del parroco. Egli ne fu assai indispettito e una sera, prima di andare a letto, si avvicinò al ciliegio e guardandolo con astio disse:" Questa notte recita le tue ultime preghiere perché domani ti abbatterò, e con il tuo legno farò fabbricare dei mobili che metterò in vendita. Hai paura forse? La tua fede ti aiuterà a trovare il coraggio!"
Durante la notte il contadino fece un sogno. Si trovava nella sua terra e il cielo era grigio come se stesse per arrivare un violento temporale. Egli vide la moglie defunta. Stava in piedi a pochi metri da lui e aveva un'espressione triste. Lui la chiamò ma lei, senza rispondergli, gli indicò qualcosa sollevando un braccio. Il contadino guardò nella direzione che la moglie gli indicava. Nel posto dove si trovava il ciliegio l'albero non c'era più ma c'era qualcuno seduto sulla base del tronco ormai reciso. Un uomo. Il contadino si avvicinò e lo riconobbe. Era Gesù. "Dov'è il mio ciliegio?" gli chiese. Gesù rispose: "Non avevi deciso di abbatterlo? Domani, quando non ci sarà più, conserverai il suo tronco e lo utilizzerai per far scolpire un grande Crocifisso che regalerai alla vostra chiesa. Dirai inoltre al parroco di porre il Crocifisso dietro l'altare." Prima che il contadino potesse rispondergli qualcosa un terribile fragore lo svegliò. Era scoppiato un forte temporale e tuoni spaventosi facevano tremare i vetri della casa mentre fulmini abbaglianti illuminavano a giorno la campagna.


Il mattino seguente uno dei due lavoranti che lo aiutavano nella terra andò a svegliare il vecchio bussando forte al portone della casa e chiamandolo agitato. Il contadino scese dal letto e ancora in pigiama raggiunse il lavorante che, con grande concitazione, lo pregò di seguirlo perché doveva mostrargli una cosa. In mezzo alla terra ancora fradicia della pioggia notturna, il ciliegio giaceva spezzato in due. Un fulmine lo aveva abbattuto. Non appena lo vide il vecchio contadino si pentì di averlo voluto abbattere e visse questo evento come una meritata punizione. Poi ricordò il sogno che aveva fatto. Ricordò le parole di Gesù seduto sulla base del tronco. Aveva detto di far scolpire un Crocifisso da regalare al parroco per farlo mettere dietro l’altare. Lui regalare un Crocifisso al parroco? Ma se erano anni che non metteva piede in una chiesa! Lo sapevano tutti che non credeva in Dio. Ai lavoranti non disse nulla del sogno che aveva fatto e ordinò loro di sfrondare subito il ciliegio perché aveva intenzione di venderne il legno.

La notte seguente sognò di nuovo Gesù. Stava sempre seduto sulla base del ciliegio ma stavolta lo guardava severamente. "Perché vuoi vendere il legno del tronco? - gli domandò - Ti ho detto che cosa devi farne. Perché non vuoi obbedirmi?" Al risveglio il contadino si sentì molto turbato da questo secondo sogno. Pur continuando a pensare che si trattasse solo di una costruzione della sua mente, decise di fare come gli era stato ordinato.
La notizia fece subito il giro del paese. Tutti seppero che il vecchio contadino blasfemo e senza Dio aveva commissionato a un giovane artista del luogo una scultura che doveva raffigurare un soggetto sacro. La gente si rammaricava della triste fine che aveva fatto il ciliegio. Nessuno lo avrebbe più visto ergersi fiero in mezzo alla campagna e i suoi meravigliosi frutti non avrebbero più allietato le loro tavole, ma il dispiacere era stemperato dalla curiosità che il gesto del vecchio stava suscitando in tutti. Quando il parroco venne a saperlo si rallegrò e non riuscì a nascondere la sua speranza che il Signore avesse finalmente trovato un varco nel cuore di quell'uomo.

Il giorno in cui il Crocifisso fu pronto il contadino incaricò i due lavoranti di andarlo a ritirare e di consegnarlo direttamente al parroco riferendogli di farlo collocare dietro l'altare. Il parroco fu felice di ricevere quella bella scultura, ma si dispiacque che non fosse venuto il contadino in persona a consegnargliela. Decise così di andare a fargli visita per ringraziarlo personalmente. Quando il contadino vide dalla finestra il sacerdote che avanzava verso la sua casa, si affacciò furente e cominciò a urlare: "Che cosa ci venite a fare da me? Non vi basta il Crocifisso? Venite a chiedere offerte? Non riuscirete mai a portarmi in chiesa per sentire le sciocchezze che predicate! Io ho perso tutto, anche il mio ciliegio! Godetevelo voi adesso!" Pronunciate queste parole con una rabbia che sapeva di pianto richiuse bruscamente la finestra. La notte seguente fu molto agitata. Sognò di nuovo Gesù ma stavolta non era seduto sulla base del ciliegio. Si trovava in piedi davanti al suo letto e gli disse: "Perché non hai voluto accogliermi? Ero venuto a ringraziarti per il regalo che mi hai fatto ma tu mi hai cacciato via. Se vuoi recuperare quello che hai perso va' domani stesso dal parroco per confessarti, e durante la Confessione gli racconterai di avermi sognato e di ciò che ti ho chiesto. Domani lo farai!".
Al mattino, quando si svegliò, il vecchio meditò su ogni parola ascoltata durante il sogno. Non essendo ancora convinto che a parlargli fosse davvero Gesù, provò grande rabbia e fastidio all'idea di doversi confessare, cosa che aveva dovuto fare controvoglia l'ultima volta il giorno prima del matrimonio. Da allora non si era mai più avvicinato a un confessionale. Poi ricordò che cos'altro gli era stato detto: "Se vuoi recuperare quello che hai perso va' domani stesso dal parroco per confessarti". Mentre ripensava a queste parole si affacciò dalla finestra e guardò la base del ciliegio distrutto dal fulmine. Istintivamente volse lo sguardo verso il cielo e disse ad alta voce, con tono di sfida: "Oggi andrò a confessarmi ma tu fammi ricrescere il ciliegio, me l'hai promesso! Hai promesso di ridarmi ciò che ho perso. Questa sarà la prova che sei stato davvero tu a parlarmi nel sogno".
Mentre camminava verso la chiesa i compaesani che lo incontravano si fermavano a guardarlo stupiti e lo seguivano con gli occhi per capire dove si stesse dirigendo. Tanto stupore era giustificato dal fatto che il vecchio, da quando aveva perso il ciliegio, non usciva più dai confini della sua proprietà. Qualcuno cominciò ad andargli dietro, e un po’ alla volta se ne aggiunsero altri finché non si formò un piccolo corteo di curiosi che procedeva dietro di lui silenziosamente. Il vecchio non sembrò accorgersene. Continuava a camminare tenendo lo sguardo fisso in avanti e conservando sul viso un’espressione torva come se stesse andando a regolare un conto in sospeso con qualcuno.
Quando entrò in chiesa il corteo di curiosi si fermò in attesa davanti al sagrato. Passò circa mezz'ora prima che il vecchio uscisse di lì. Quando finalmente venne fuori e discese le scale del sagrato, i curiosi che si erano radunati nella piazza fecero finta di nulla e si misero a parlare tra di loro. Il vecchio li guardò abbozzando un sorriso beffardo e poi disse: "Il parroco sta bene, non vi preoccupate. Non gli ho fatto troppo male." Detto ciò passò in mezzo alla gente senza dire più nulla e si avviò verso casa.

Nei giorni che seguirono egli cominciava già dal mattino, appena sveglio, a controllare se il ciliegio stesse ricrescendo. Sebbene gli sembrasse una pretesa assurda si sentiva in diritto di aspettarsi un miracolo del genere da Colui che lo aveva spinto a confessarsi e a rimettere piede in chiesa. Ma ogni giorno rimaneva puntualmente deluso nel guardare la base del ciliegio che gli appariva solo come segno di cosa morta e di speranza vana. Una mattina, mentre per l'ennesima volta cercava di intravedere anche un solo rametto nuovo che fosse presagio di un'impossibile rinascita, si sentì chiamare da una voce familiare. Sporgendosi dalla finestra vide due uomini che si sbracciavano a salutarlo. Guardò meglio chiudendo e riaprendo gli occhi più volte. Li riconobbe. Erano i suoi figli! Erano due dei suoi figli che lavoravano all'estero. Fu stupito e felice di vederli e scese giù in fretta per correre ad abbracciarli. Si abbracciarono a lungo tutt’e tre, poi salirono in casa. Il padre si sforzò di non piangere e chiese ai figli come mai fossero ritornati così all'improvviso. I due spiegarono che l'azienda in cui lavoravano aveva dovuto licenziare diversi dipendenti e purtroppo era toccato anche a loro di essere cacciati. "E Alfredo?" chiese il padre. Alfredo era il figlio maggiore. Era stato il primo ad emigrare ed era soddisfatto del lavoro che aveva trovato in quell’azienda, pur avendo ancora parecchie difficoltà ad esprimersi nella lingua del posto. Da lì aveva chiamato i due fratelli dicendo che la sistemazione era sicura e il lavoro assai redditizio. "Anche lui è stato licenziato - disse uno dei due -ma si vergogna di tornare perché si sente responsabile nei nostri confronti e anche verso di te. Tu però non ti preoccupare papà, vedrai che tornerà anche lui. Lo sai come è fatto Alfredo, è sempre stato molto orgoglioso e il suo orgoglio lo fa sentire in colpa". "Adesso siamo qui papà - disse l'altro - e resteremo con te per ricominciare tutti insieme! Forse è giusto che sia andata così. Ti chiediamo scusa per averti abbandonato ma da oggi in poi resteremo sempre qui, ci rimboccheremo le maniche e lavoreremo insieme a te come una volta. Anche Alfredo ci raggiungerà. La mamma sarebbe felice di vederci di nuovo tutti insieme!". Il vecchio contadino guardò verso la finestra da cui ogni giorno si affacciava per soddisfare l’assurda pretesa di veder resuscitare il ciliegio. Sentì una nuova luce invadergli il cuore. Adesso cominciava a capire quale fosse l'immenso dono che il Signore aveva deciso di fargli. Pregò in silenzio che anche l'altro figlio tornasse al più presto e sentì il bisogno di pronunciare un immenso GRAZIE con la voce dell'anima. "Papà - disse uno dei due figli interrompendo i suoi pensieri - ma che fine ha fatto il ciliegio? Come mai non c'è più?". Il contadino sorrise e rispose: "Il ciliegio è andato in chiesa". I due figli si guardarono meravigliati perché non avevano capito il senso di quella frase. Egli li guardò sorridendo e aggiunse: "Adesso ci andiamo anche noi. Lì c'è un amico che ci aspetta. Troppo tempo l'ho fatto aspettare. Sarà felice di vederci tutti insieme." Mentre si incamminava con loro due sulla strada che conduceva verso la chiesa, il contadino capì che il Signore aveva mantenuto la sua promessa. Quel giorno gli aveva fatto ritrovare la cosa più preziosa della sua vita, l’incomparabile tesoro che il tempo gli aveva portato via e che ormai pensava di aver perduto per sempre: l’amore e la vicinanza dei suoi figli.





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giovedì 19 agosto 2021

L'UOMO CHE ERA BENVOLUTO DA DIO

 

C'era una volta un uomo che sosteneva di essere felice perché era particolarmente benvoluto da Dio. "Ogni cosa che io desidero Egli me la concede" raccontava a tutti soddisfatto e sorridente. Alcuni lo ritenevano pazzo, altri bugiardo, altri ancora gli davano del "presuntuoso". Quell'uomo allora, per dimostrare di non avere torto, disse un giorno ad un gruppo di persone che gli avevano chiesto una prova inoppugnabile di ciò che sosteneva con tanta sicurezza: "Non credete che Dio mi ama? Adesso ve lo dimostro. Ogni sera chiedo al Signore:" Domani voglio che sorga il sole! "e Lui, puntualmente, ogni mattina mi sveglia con la luce del sole che bussa alla finestra della mia stanza. Poi gli chiedo: stanotte voglio che splenda alta nel cielo la Luna. E Lui, ogni notte, realizza ciò che gli ho chiesto regalandomi una magnifica e luminosa visione della Luna e del firmamento da lasciare senza fiato. Poi gli chiedo: voglio che immense nuvole multiformi riempiano il cielo con la loro insuperabile fantasia che farebbe invidia a un grande pittore. Ed ecco che se alzo lo sguardo bianche nuvole danzano lente e cambiano forma di continuo davanti ai miei occhi pieni di stupore." A questo punto le persone che lo ascoltavano lo interruppero protestando a gran voce. Uno dei presenti gli disse spazientito: "Ma tu ci stai prendendo in giro! Queste cose già esistono indipendentemente dai tuoi desideri e sono a beneficio di tutti, non soltanto di pochi privilegiati benvoluti da Dio." "Ti sbagli mio caro amico - rispose l'uomo sorridendo - tutte queste cose esistono davvero soltanto per chi le desidera ogni giorno come un meraviglioso e quotidiano regalo del Signore. Solo chi ne apprezza il valore e la bellezza le vive come un perpetuo dono di Colui che le ha create. Non c'è nulla di scontato nell'opera di Dio, e nulla è più prezioso e desiderabile di ciò che Egli prepara ogni giorno con immenso amore per tutti i Suoi figli. Soltanto chi comprende quanto amore ci sia in tutto quello che lo circonda si rende conto davvero di essere benvoluto da Dio."


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mercoledì 4 agosto 2021

I BUONI FRUTTI


Una calda e radiosa mattina d'estate due teologi discutevano in aperta campagna all'ombra di un pesco. Seduti sull'erba con le spalle appoggiate al tronco dell'albero disputavano su importanti argomenti di Fede. Stavano parlando già da un'ora facendo dotte citazioni dalla Bibbia e dai Padri della Chiesa quando videro all'improvviso arrivare da lontano un contadino. Uno dei due teologi propose al collega: "Proviamo a chiedere a quell'uomo chi di noi due ha ragione". "A lui? - rispose l'altro - ma quell'uomo non capirà neanche di che cosa stiamo parlando!" "Forse proprio per questo è l'arbitro ideale per dirimere la nostra controversia. Gesù non ha detto forse che la verità appartiene ai semplici? Chiediamo dunque a una persona semplice di porre finalmente termine a questa complicata diatriba". L'altro teologo sorrise divertito e accettò la proposta. Quando il contadino si fu avvicinato essi si alzarono da terra e lo salutarono cordialmente. Il contadino reggeva in una mano un'ampia cesta di vimini e nell'altra teneva una scala di legno. Rispose al saluto dei due e appoggiò la scala al tronco dell'albero. Mentre si arrampicava sulla scala con la cesta sotto il braccio i due teologi lo osservavano. Il contadino scelse con cura e staccò dai rami alcune grosse pesche e le raccolse nella cesta, poi ridiscese dalla scala. I due rimasero incantati dalla bellezza e dal profumo di quei frutti. "Volete assaggiarle?" domandò l'uomo. Essi accettarono volentieri. Mentre assaporavano le pesche offerte dal contadino il teologo che aveva lanciato all'altro la proposta di coinvolgere l'ignaro agricoltore nella disputa si decise a parlare. "Senta, visto che è stato così gentile vorremmo chiederle un'altra cortesia. Noi siamo due professori di teologia, ferventi cattolici, ma non riusciamo a metterci d'accordo su una questione alquanto complessa. Vorremmo dunque domandarle il suo parere." Il contadino li guardò sorpreso poi rispose:" Ma io non so nulla di teologia. Credo in Dio Onnipotente e in quello che ogni giorno mi regala, di più non saprei dirvi. ". L'altro teologo sorrise e disse: "Proprio per questo pensiamo che il suo giudizio sarà per noi illuminante. Anche senza sapere di che cosa stavamo discutendo, così, a istinto, chi pensa che abbia ragione tra noi due?" Il contadino guardò in alto pensoso tra i rami del pesco, poi osservò i frutti che aveva raccolto nella cesta. Mentre i due professori finivano di gustare le pesche dolci e succose egli domandò loro:" Vi sono piaciute?". I due assentirono con entusiasmo affermando di non averne mai assaggiato di più buone. "Ecco - disse il contadino - secondo me ha ragione lui." "Lui chi?" domandò curioso uno dei due teologi. "Ha ragione l'albero, ha ragione il pesco - proseguì il contadino - Gesù ha detto infatti che l'albero buono si vede dai suoi frutti. Chi di voi due un giorno sarà capace di produrre non soltanto parole ma frutti buoni come quelli che quest'albero ci dona nella bella stagione, quello avrà sicuramente ragione." Pronunciate queste poche parole il contadino riprese la cesta e la scala e si allontanò. I due teologi, che tenevano ancora in mano il nòcciolo delle pesche appena mangiate, si guardarono negli occhi rimanendo in silenzio e assorti a meditare sulla risposta dell'uomo. Poi piano piano incominciarono a sorridere tutt'e due come illuminati da una brillante intuizione. Le parole del contadino non avevano toccato il loro cuore, avevano offerto soltanto un nuovo alimento alla loro erudita superbia. Gettarono via i nòccioli sull'erba e si incamminarono lungo il sentiero di campagna mettendosi a discutere su quale fosse il vero significato del discorso evangelico dell'albero e dei "buoni frutti". Essi possedevano una sapienza soltanto accademica, arida e vuota come una terra infertile. La sapienza del contadino apparteneva invece ad un cuore umile e innamorato, una sapienza che sa riconoscere nelle cose più semplici della vita un meraviglioso frutto dell'amore di Dio.



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domenica 25 luglio 2021

IL CAMPANELLO

 

Un uomo molto fedele a Dio ma esasperato dalla propria incapacità di resistere alle tentazioni del Maligno chiese un giorno al Signore: "Padre, fa' in modo che ogni volta in cui sto per cedere a una tentazione suoni un campanello d'allarme che serva ad avvertirmi e a fermarmi prima che sia troppo tardi." Il Signore gli rispose: "Figlio mio, se io facessi suonare un campanello ogni volta in cui stai per cedere a una tentazione tu diventeresti sordo o finiresti per impazzire. Il Maligno ti tenta senza tregua, in modo dichiarato o subdolo, nelle azioni e anche nell'intimità dei pensieri. Se non hai la ferma volontà di resistergli con l'aiuto della Fede e della preghiera a ben poco servirebbe un campanello d'allarme. Tutto quello che posso dirti è questo: immagina di uscire di casa con un vestito nuovo e prezioso. Certamente staresti attento a non sporcarlo, eviteresti le pozze d'acqua melmosa e gli schizzi di fango, percorreresti strade pulite, non andresti certo ad inerpicarti su un sentiero impervio pieno di sterpi, terreno, spine e polvere. Il vestito nuovo ed elegante che indossi è quello con cui dovrai presentarti a me per la Festa nel Cielo, lo stesso che hai indossato nel giorno del Battesimo, ed è bene che lo conservi integro e pulito come io te l'ho donato. Ma se una macchia anche piccola dovesse adombrarne lo splendore e l'eleganza va' di corsa a lavarlo affinché torni a risplendere nuovo come prima. Questo è il comando che ti do: preoccupati di conservare candido e immacolato il tuo vestito percorrendo le luminose vie della purezza e rifuggendo le valli oscure del peccato, e quando ti accorgerai che il fango del mondo lo ha macchiato ancora una volta affrettati a lavarlo con la Confessione e il pentimento sincero. Soltanto così potrai partecipare alla meravigliosa Festa nel Cielo che ho voluto per te e per tutti coloro che mi amano."




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mercoledì 14 luglio 2021

LA DATA DI NASCITA DI GESÙ

 


Un argomento insistentemente dibattuto è la vera data di nascita di Gesù: è nato davvero il 25 dicembre? Ancora una volta mi sembra che ci si occupi del superfluo a danno del sostanziale. Ancora una volta trovo perfettamente adeguato il famoso detto: "Quando il saggio indica la Luna lo stolto guarda il dito". Per chi riconosce l'identità divina di Gesù avere dei dubbi sulla Sua effettiva data di nascita non ha alcun senso, infatti Dio non può avere una data di nascita perché Egli esiste "da sempre". Il meraviglioso evento dell'Incarnazione del Verbo che celebriamo a Natale è molto più importante del giorno preciso in cui esso avvenne. Questo principio vale ancor più per l'altra grande ricorrenza cristiana: la Pasqua. Dovremmo forse chiederci in quale giorno Gesù è stato crocifisso e in quale preciso giorno è avvenuta la Sua Resurrezione? La data mobile della Pasqua non può mettere in dubbio lo straordinario evento della Resurrezione di Nostro Signore e i successivi avvenimenti che vi si concatenano: l'Ascensione e la Pentecoste. Sappiamo inoltre che i dubbi sull'identità anagrafica di Gesù non sono cominciati oggi, perché già nel Vangelo qualcuno si espresse a questo riguardo con capziosa ostilità.

"Gli dissero allora i Giudei: «Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?". Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono". (Gv.8, 57-58)



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sabato 10 luglio 2021

IL SOLE E DIO


Un giorno il sole rivolgendosi a Dio manifestò il suo stupore e la sua perplessità per il bizzarro comportamento degli uomini. In estate, quando si avvicinava di più a loro per scaldarli con il suo vigoroso calore li vedeva sbuffare, dare in smanie, soffrire, imprecare e invocare il freddo invernale. Quando in inverno si allontanava da loro li sentiva al contrario invocare le vampate della bella stagione. Domandò dunque: "Ma perché le creature umane sono sempre così insoddisfatte? Gli alberi fruttificano, perdono le foglie e poi rinverdiscono senza mai lamentarsi, gli uccelli migrano verso altri cieli, la terra segue obbediente e generosa il ritmo delle stagioni. Perché soltanto gli uomini hanno sempre da lagnarsi di ogni loro condizione, fosse anche la più vantaggiosa del mondo?". "Abbi pazienza - rispose sorridendo il Signore - non devi offenderti se essi mostrano così poca gratitudine nei tuoi confronti. Anche con me sono intolleranti e sfiduciati. Molti di loro affermano convinti che io non esisto e perfino quelli che mi amano spesso si domandano se un Padre davvero ci sia nell'alto dei Cieli. Che cosa accadrebbe se un giorno decidessi davvero di abbandonarli? Sarebbe come se tu spegnessi per sempre la tua luce lasciandoli nel buio di una notte gelida e infinita. Dunque continua ad illuminarli pazientemente con i tuoi raggi come io li illumino con il mio amore. Le creature umane sono fatte così: paurose, inquiete, incostanti, ingrate, inappagate, ma io le amo proprio per questo, perché so che più di tutte le altre creature della Terra esse hanno bisogno di me come hanno bisogno di te, che sei la fonte della vita. Tu le consoli e le prepari al riposo con la meravigliosa dolcezza dei tuoi tramonti, e all'alba prometti a ciascuno di loro un giorno di luce nuova e di speranza. Non faccio lo stesso anch'io con i loro cuori?"




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mercoledì 5 maggio 2021

DOV'È LA PIETÀ?

 

Ricordo che sono stato a Roma per la prima volta nel 1973, all'età di otto anni. Provai davvero una grande emozione, soprattutto quando mi apparve all'improvviso davanti agli occhi il Colosseo in tutta la Sua maestosità. La voce del Papa Paolo VI e la sua piccola figura bianca in lontananza (all'epoca non c'erano i maxischermi in piazza) mi suggerirono qualcosa di incantato e di surreale. Una volta entrati nella Basilica di S. Pietro mi sentii letteralmente sovrastato dalle sculture che l'adornano, ma anche dal peso dei secoli che la mia fantasia di bambino avvertiva con più forza del fascino mistico di quel luogo santo. Ricordo che in un angolo c'era una tenda, come una sorta di piccolo sipario che nascondeva qualcosa. Si trattava dello spazio normalmente occupato dalla famosa "Pietà" di Michelangelo. In quel periodo purtroppo il capolavoro non era visibile al pubblico perché sottoposto da diversi mesi a un delicato intervento di restauro. Venni così a sapere che la meravigliosa scultura di Michelangelo era stata gravemente danneggiata a colpi di martello da uno squilibrato (il fatto era avvenuto nel maggio 1972). Ricordo che avendo sentito parlare della Pietà mentre entravamo in Basilica, quando ci trovammo di fronte a quel triste spazio vuoto coperto da una tenda purpurea domandai dispiaciuto ai miei genitori: "È adesso dov'è la Pietà? Quando potremo vederla?". Questa domanda mi risuona ancora oggi malinconica nel petto ma con una differente intenzione. Dov'è finita la pietà? Quando potremo rivederla? La pietà che dovrebbe straziarci l'anima davanti al dolore dei fratelli è stata presa a martellate, è assente dalla nostra vista e dal cuore. Forse anch'essa è in fase di restauro perché troppi danni ha subìto in questo mondo così spietato fino all'inverosimile. Quando potremo ritrovarla? Soltanto la pietà può salvarci, perché se alla pietà subentra la fredda ragione ogni orrore diventerà plausibile, accettabile, ci abitueremo a tutte le ingiustizie e la sofferenza del fratello non lascerà sgorgare nemmeno più una lacrima ma solo sterili ragionamenti. Di fronte al dolore e al pianto di Maria per il Figlio morto si leverà sempre una voce senza amore e senza cuore che domanderà: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Il segreto più profondo della Fede cristiana sta nella pietà che il buon ladrone ebbe per la sofferenza di Gesù. Di fronte a ciò che non riusciamo a comprendere dobbiamo farci condurre dalla pietà, perché solo questo sentimento consente di vedere con chiarezza tutto ciò che il Signore ha nascosto da sempre all'intelligenza del mondo.






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sabato 1 maggio 2021

QUANDO IL SIGNORE DECISE DI DIVENTARE PADRE

 

Nel corso della Creazione il Signore aggiungeva giorno dopo giorno elementi alla Sua mirabile opera e se ne compiaceva. Come un grande artista guarda nascere un po' alla volta il suo capolavoro Egli considerava la bontà delle cose da Lui create: "E Dio vide che era cosa buona." (Gen. 1, 10). Poteva bastare tutto questo alla Sua gioia, alla Sua soddisfazione di Creatore. Tuttavia per rendere davvero perfetto e compiuto il Creato mancava ancora qualcosa, una creatura in cui Egli potesse rispecchiarsi e sulla quale potesse riversare tutto il Suo Amore per essere ricambiato: l'uomo. Ed è così che Dio decise di diventare Padre. Forse sapeva già a quali dispiaceri sarebbe andato incontro. Fin dall'inizio sperimentò la disobbedienza dei Suoi figli, e poi assisté amareggiato all'omicidio compiuto da un fratello nei confronti dell'altro fratello, e fu soltanto l'inizio. A quanti altri crimini e tradimenti ha dovuto assistere nel tempo non smettendo mai di amarci! Noi restiamo nel bene e nel male la causa della Sua felicità. Non il cielo e la Terra potevano far palpitare il Cuore dell'Altissimo di gioia o di dolore, ma soltanto la creatura umana, l'unica che volle fare a Sua immagine. Tanto grande è stato il Suo Amore di Padre che Egli ha dato il Suo Figlio Unigenito per noi e insieme al Figlio ha sofferto, ha subìto insulti e incomprensioni, è morto. Per amor nostro il Padre ha sperimentato il dolore e la morte, ma tutto questo lo rende ancora oggi felice, perché nel bene e nel male noi continuiamo ad essere l'unica causa della Sua felicità.






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domenica 11 aprile 2021

LA FEDE RINVERGINA LA VITA

 


Quando si è bambini si cerca di capire il mondo imitandolo. I genitori rappresentano il primo modello e, se ci sono, anche i fratelli maggiori. Quando si è adolescenti c'è voglia di esperienze forti e l'animo è pronto a fibrillare per ogni novità, per ogni conquista che ci faccia emozionare ed arricchisca il cuore di esuberante letizia. Da giovani vogliamo finalmente entrare con saggezza e sapienza nella vita, rivaleggiamo e ci confrontiamo col mondo, abbiamo ansia ed urgenza di imparare tante cose per crescere e raggiungere un traguardo importante: la realizzazione dei nostri sogni. Man mano che passano gli anni tuttavia ci chiudiamo alle nuove imprese e il coraggio di rischiare viene meno. Pensiamo di non aver più nulla da costruire e da assicurarci se non una tranquilla e serena vecchiaia. La Fede ci impone un percorso completamente diverso. Quella voglia di scoperta e di novità che caratterizza la prima parte della vita, quando il cuore è ancora vergine e affamato di nuovi sentimenti, deve essere la regola costante di chi ama Dio e ispirato da questo amore non smette mai di cercarlo e di invocarlo. Non vi è stanchezza né rinuncia per chi ama Dio e crede con entusiasmo alle Sue promesse. Nulla sarà prevedibile e scontato per chi segue la Via luminosa che porta verso il Cielo. La Fede rinvergina la vita e la fa diventare un terreno fertile in cui ogni giorno fruttifica e si compie la Grazia del Signore.



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mercoledì 7 aprile 2021

COME CANDELE SPENTE

 

Questa storia risale a un tempo assai lontano, quando gli uomini usavano ancora le candele per illuminare le proprie abitazioni. C'era una volta in una casa antica una candela che aveva paura di ardere. Essa vedeva le sue povere compagne che venivano consumate nei candelabri, sui lampadari, nelle bugie e sugli scrittoi e ne commiserava la triste sorte: ridotte a un mozzicone di cera sciolta in pianto, svanite in un dolore che consuma fino a lasciare un piccolo lago di lacrime solidificate. Lei non voleva fare quella fine. Così alta, candida, ben levigata come la lancia di un guerriero sarebbe in poche ore diventata un nulla, un ammasso informe di cera disciolta. Per questo quando i padroni di casa infilavano una mano nella scatola in cui giaceva insieme alle altre compagne, la povera candela tremava di paura, e non potendo fare nulla per sottrarsi al suo destino sperava ogni volta che non fosse arrivato il suo turno. Una sera vide una compagna infilata in una bugia di terracotta che il padrone aveva appoggiato nel ripostiglio accanto alla scatola delle candele ancora da utilizzare. Quale compassione ne ebbe! Era ormai "al lumicino". Consumava le ultime gocce di cera e muoveva debolmente la fiammella che emanava fiochi bagliori. "Compagna mia - le disse impietosita - come ti sei ridotta! Come ti hanno trattata, come ti hanno sfruttata! Eri bella e integra e ora non sei più niente. Dovrò diventare anch'io così? Perché dobbiamo esistere per così poco tempo e poi diventare un niente, perché ci hanno creato per svanire come un'effimera illusione?" L'altra candela, con quell'ultimo residuo di calore ed energia che le era rimasto rispose piano, affannando: "Mia cara amica, noi siamo state create per fare luce, non per essere complici dell'oscurità. Non sai quante cose meravigliose ho visto e ho fatto vedere alle creature umane! Ho portato luce sulla tavola della famiglia unita a cena, ho illuminato le preghiere della mamma che invocava il Signore per la felicità dei Suoi figli, le ho fatto luce mentre raccontava favole al più piccolo per farlo addormentare, e ho aiutato il padre a scrivere lettere sul suo scrittoio a un fratello che vive lontano. Che meraviglia aver sentito tante emozioni e averle illuminate! Sai, ho ascoltato spesso anche le loro parole, le confidenze che si facevano, le loro gioie, le preoccupazioni, i progetti per l'avvenire. Ho saputo inoltre che è in arrivo una luce nuova, una nuova energia che illuminerà le strade e le case. Non so bene di cosa si tratti, ma so che molto presto gli uomini non avranno più bisogno di noi come prima. Compagna mia spera che ti chiamino presto a illuminare la loro vita perché è un'emozione indescrivibile. Significa capire perché siamo state create, significa sentirsi utili, significa vedere i loro occhi smarriti nel buio che seguono pieni di gratitudine la nostra luce. Certo non vedrai sempre cose belle, ci saranno anche lacrime e sospiri dolorosi, ma la tua gioia sarà sempre grande perché porterai a tutti il conforto della tua luce." Pronunciate queste ultime parole la sua debole fiammella si spense per sempre, e un sottilissimo filo di fumo salì verso il soffitto estinguendosi velocemente nell'oscurità. La candela nella scatola meditò sulle parole della compagna da poco spirata e improvvisamente provò una sensazione nuova, le si accese dentro un desiderio fortissimo. Ebbe voglia di essere scelta subito perché voleva anch'essa illuminare gli abitanti della casa ed emozionarsi insieme a loro. Pregustò le ineffabili sensazioni che il calore della sua luce avrebbe procurato a sé stessa e alle persone della famiglia. Cominciò ad attendere con ansia che la mano del padrone la prendesse finalmente per infilarla in un candeliere, per portarla in giro nelle stanze e nei corridoi, sulla tavola in cucina, sullo scrittoio, sul comò e nella camera dei bambini, davanti al dolce sguardo della mamma che per i suoi piccoli ogni ora sospirava, sorrideva, pregava. Il desiderio di illuminare la loro vita l'avrebbe consumata fino alla sua ultima goccia di cera, fino al suo ultimo istante di felicità.

Il Signore ci ha creato per portare luce nel mondo e ardere di amore, non per vivere come candele spente.







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venerdì 19 marzo 2021

"PERCHE' MI PERCUOTI?"


Una delle frasi più famose del Vangelo, quell'invito che appare così assurdo alla logica del mondo, è l'esortazione di Gesù a "porgere l'altra guancia". Sfido chiunque a dimostrarmi di non aver accettato "con riserva" questo invito del Maestro. Sappiamo inoltre che i nemici della Fede cristiana, coloro che provocano i credenti con grande malizia, spesso fanno appello a questo insegnamento di Gesù dicendo che se siamo dei veri cristiani dobbiamo accettare insulti e percosse senza opporre la minima resistenza. La perversa logica del mondo ha trasformato "Porgi l'altra guancia" in una frase che piace molto agli schiaffeggiatori. Eppure in un'altra situazione del Vangelo, quando Gesù riceve uno schiaffo da una guardia per aver risposto con troppa audacia al sommo sacerdote, sappiamo che Egli reagisce con una domanda precisa e disarmante. "Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?»" (Gv. 18, 23). "Perché mi percuoti?". Questa domanda mette chi ci colpisce di fronte alle proprie responsabilità. Una domanda che vale quanto un castigo divino. Una domanda che nella sua apparente delicatezza contiene la più dura accusa a chi opera il male. Gesù avrebbe potuto rivolgere la stessa frase a coloro che decisero di farlo crocifiggere, a coloro che si indignarono nella sinagoga davanti alle Sue parole, a coloro che lo accusavano di bestemmiare e perfino di essere un indemoniato. Il Signore potrebbe rivolgere le medesime parole ancora oggi a chi nega la Verità da Lui proclamata o a chi lo insulta bestemmiando. Se anche noi invece di reagire con rabbia ponessimo la stessa domanda a coloro che ogni giorno ci fanno del male, i nostri "schiaffeggiatori" molto probabilmente non saprebbero che cosa rispondere.

"Perché mi percuoti?"







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lunedì 15 marzo 2021

AI MIEI FRATELLI NON CREDENTI


Voi che non credete sostenete che Dio non esiste perché la condizione umana è molto triste: essa è fatta di cattiverie, di sofferenze fisiche e morali e infine di morte. Eppure voi stessi riconoscete che nel mondo esistono l'amore, l'amicizia, la felicità; ne siete tanto convinti che queste cose meravigliose le desiderate e le cercate fortemente ogni giorno della vostra vita. Ma se la condizione umana è così irrimediabilmente triste al punto da indurvi a non credere in Dio, allora da dove vengono l'amore, l'amicizia, la felicità? Chi vi induce a desiderare questi sublimi sentimenti che riscattano l'uomo da tutte le sue insopportabili miserie? C'è senz'altro qualcosa di più grande, qualcosa che trascende la nostra condizione terrena ed eleva il cuore ad altezze imponderabili, qualcosa di talmente immenso e luminoso da sembrarci irraggiungibile. Questo "qualcosa" tocca ogni creatura con i raggi del Suo Amore. Questo "qualcosa" si chiama Dio.



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venerdì 15 gennaio 2021

IL RELATIVISMO, UNA MENZOGNA FACILMENTE CONFUTABILE

 


"Così è (se vi pare)" recita il titolo di una famosa commedia di Pirandello. Questo titolo così semplice e ammiccante è già un piccolo manifesto del relativismo, quella corrente di pensiero che cominciava a farsi strada nel ventesimo secolo come frutto di una sempre crescente perdita di valori e di riferimenti precisi, un canceroso processo spirituale che è alla base della crisi dell'uomo contemporaneo. Il dubbio è stato "istituzionalizzato" al punto da diventare una prova di estrema intelligenza, mentre ogni certezza assoluta viene stigmatizzata come manifesta dimostrazione di ottusità e di fanatismo. Questa perdita di valori assoluti e inoppugnabili non poteva risparmiare la religione, anzi, la religione è diventata il principale bersaglio del pensiero relativista. Se in altri contesti, come ad esempio la politica e lo sport, è tollerata ogni forma di schieramento e di incrollabile ed estremistica fede, in ambito religioso viene richiesta la massima accondiscendenza ed elasticità in nome della tolleranza e del reciproco rispetto. Tuttavia, se prendiamo in considerazione le tre grandi religioni monoteiste, Ebraismo, Cristianesimo e Islam, non possiamo ignorare che esse si sono sviluppate su un terreno comune: la Bibbia. Ebrei e cristiani condividono il Pentateuco, i primi cinque libri della Sacra Scrittura, mentre il Corano trova nella Bibbia dei cristiani e degli ebrei il suo humus, la sua linfa, la sua ispirazione. Queste tre grandi confessioni che contano miliardi di fedeli in tutto il mondo vengono chiamate anche "religioni abramitiche", perché i loro seguaci riconoscono in Abramo il comune capostipite. Ecco dunque che non esistono confini così invalicabili, muri così alti e spessi da non poter essere abbattuti. Io sono cristiano e certamente difendo la Verità proclamata e rappresentata dalla Persona di Gesù Cristo, ma ciò non vuol dire che io neghi le altre verità ispirate dall'unica incontrovertibile Verità, quella contenuta nella Sacra Bibbia. Gesù stesso afferma che Egli non è venuto per cancellare il passato e la tradizione, ma per renderli perfetti. "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento." (Mt. 5, 17). Ogni dubbio fine a se stesso, ogni dubbio che non trovi sbocco nell'accettazione di una verità assoluta finisce per creare soltanto angoscia e smarrimento. Alla fine della citata commedia di Pirandello entra in scena una misteriosa donna velata che si presenta al pubblico come "la verità". Ella sostiene di non esistere perché dice di sé stessa: "Io sono colei che mi si crede" ma "per me nessuna, nessuna". Questa donna così misteriosa è portatrice di un falso assioma. Il fatto che non tutti gli uomini della Terra la pensino allo stesso modo non implica la totale assenza di una Verità che possa essere condivisa da tutti. L'oscura dama che conclude la commedia di Pirandello può essere assunta come emblema del relativismo moderno. Io tuttavia voglio guardare da un'altra parte. Voglio guardare alla luminosa presenza di Colui che ha proclamato di sé stesso con voce limpida, autorevole e sincera, con l'audacia e l'incontrastabile fermezza di chi non verrà mai smentito né dagli uomini, né dal tempo, né dai cambiamenti della storia: "IO SONO VIA, VERITÀ E VITA". 







Copyright © Bruno Canale 2021 (Testo) 

venerdì 25 dicembre 2020

SIAMO NATI TUTTI IL 25 DICEMBRE

 

Ogni anno in questo periodo ripeto che il vero festeggiato è Gesù Cristo, ed è dunque a Lui che dobbiamo dedicare il cuore e la mente perché a Natale celebriamo la Sua Nascita. Quest'anno invece per la prima volta il Signore mi ha ispirato una nuova ed inaspettata riflessione, aggiungendo così un valore in più a questa Santa ricorrenza che fa esultare i fedeli di immensa gioia e profonda gratitudine. Nello scambiarci gli auguri di "Buon Natale" riconosciamo che anche noi siamo i festeggiati perché il compleanno di Gesù è senza dubbio anche il "nostro" compleanno. Non siamo forse nati in Cristo nel giorno del Battesimo? Gesù è venuto nel mondo per la nostra rinascita spirituale, per liberarci dalla morte e dal peccato e donarci la vita eterna. Non è dunque il compleanno della carne quello che conta ma il compleanno dello spirito, un compleanno speciale che non riguarda soltanto noi ma anche i nostri fratelli in Cristo che sono nati o vorranno rinascere in Lui. Tutti noi siamo nati nello stesso giorno, il giorno della vita nuova, il giorno della nascita al mondo di Nostro Signore Gesù Cristo.

"Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito." (Gv. 3, 4-6)







Copyright © Bruno Canale 2020 (Testo) 

giovedì 24 settembre 2020

LA PARTE MIGLIORE


Se solo avessimo la piena consapevolezza dell'importanza che il Signore ha dato alle nostre vite, del destino dell'anima, di come sia fondamentale preoccuparci dell'eternità che ci aspetta e non solo del presente, non ci occuperemmo più di nient'altro nella nostra vita che non sia il raggiungimento dell'eterna beatitudine nel Cielo. Ci comporteremmo tutti come la giovane Maria. Mentre la sorella Marta attendeva alle faccende domestiche lei non riusciva più a staccarsi da Gesù e lo ascoltava estasiata. Ma potrebbe esistere un mondo simile, un mondo in cui tutti si pongono in estatica contemplazione di Gesù Cristo e della Sua Parola? Questo mondo già esiste, ma non qui sulla Terra. Nel Regno di Dio vivremo tutti assorti in un'ininterrotta e felice contemplazione del Signore. Qui sulla Terra le quotidiane esigenze della carne, se pur lecite e naturali, ci distrarranno sempre dalla Luce della Verità. Gesù, ben consapevole della condizione umana, non deplora ma nemmeno loda l'efficienza di Marta, ineccepibile donna di casa che lo ascolta ma senza tralasciare i suoi ordinari impegni. 

"Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta." (Luca 10, 38-42)

Anche noi dunque dobbiamo scegliere la parte migliore della vita e del mondo, che è Gesù Cristo. In un altro momento del Vangelo Egli ha raccomandato ad ognuno di noi, con lo stesso tono con cui si rivolse a Marta: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta." (Mt. 6, 33). Cercare innanzitutto il Regno di Dio significa fare la volontà del Padre lasciando al Signore il tempo e la libertà di far sì che si compia, anche miracolosamente, la Sua volontà. Il torto di Marta non fu quello di non credere, fu quello di ritenere che le preoccupazioni materiali del quotidiano e la gestione delle faccende domestiche fossero più importanti della Parola di Cristo. Questo è l'errore di molti di noi: rendere marginale ciò che invece dovrebbe essere il centro di un'esistenza sana e votata alla salvezza. Dobbiamo ribaltare l'ordine delle cose, un ordine che in realtà è disordine, perché chiunque anteponga a Cristo le esigenze del mondo e quelle della carne sta rinunciando alla parte migliore. Sta rinunciando all'eternità.










Copyright © Bruno Canale 2020 (Testo) 

giovedì 3 settembre 2020

IL SILENZIO DI SAN GIUSEPPE



Molti fedeli si meravigliano del fatto che il divino sposo di Maria non pronunci alcuna parola in tutta la narrazione evangelica. Inoltre non viene riferito nulla riguardo alla sua morte; Giuseppe era già assente alle nozze di Cana e nemmeno sotto la Croce lo ritroviamo. Sappiamo soltanto che egli esce di scena non appena Gesù comincia a rivelarsi pubblicamente come il Figlio di Dio. Tutto questo ha indotto erroneamente alcuni a pensare che egli abbia un ruolo subalterno rispetto alla Vergine e a tutti gli altri personaggi del Nuovo Testamento. Il silenzio di Giuseppe ha lo stesso peso e la stessa profondità di una parola che viene dal cuore. Egli è destinatario di quella che potremmo chiamare la "seconda Annunciazione": l'angelo rivolge a lui lo stesso annuncio rivolto a Maria per renderlo consapevole dell'immenso privilegio ottenuto da Dio e per farlo desistere dal proposito di rifiutare l'unione sponsale con Lei. Noi tutti sappiamo che il Vangelo è un testo ispirato, anzi direi di più, "dettato" dallo Spirito Santo, non può esservi dunque alcuna omissione o dimenticanza da parte di chi lo ha scritto come non troveremo nelle Sue pagine alcuna ridondanza o parola che possa apparire superflua. Il silenzio di Giuseppe assume la stessa potenza divina del "Sì" di Maria. Il suo "Sì" si traduce nell'obbedienza di chi si assume volontariamente l'onere di una paternità legale e per questo motivo ancora più cosciente e responsabile. Ma la paternità di Giuseppe non è soltanto putativa, è spirituale. A differenza di Maria che pur "non avendo conosciuto uomo" accetta questa inattesa maternità stabilendo anche un legame carnale con Gesù, Giuseppe accetta di prendersi cura di quel Figlio che viene dal Cielo e non dalla sua carne. Egli è un uomo giusto, non ha il coraggio di ripudiare la sua promessa sposa sottoponendola al pubblico disprezzo. Pur con il cuore che possiamo immaginare straziato pensa di rinunciare per sempre al coronamento del suo grande amore. Ma il Signore attraverso l'annuncio dell'angelo lo invita a non aver paura e gli fa comprendere l'enorme importanza del compito che sta per affidargli. Giuseppe accetta ed è presente come padre educatore e protettivo solo nella prima parte della vita di Gesù, quella anteriore all'inizio della Sua predicazione e del Suo rivelarsi come il Cristo. È da quel momento che non sentiamo più parlare di lui. Il padre umano che Dio ha scelto su questa Terra doveva occuparsi soprattutto della formazione, della vita familiare, lavorativa e sociale di Gesù, perché a Maria spettava invece l'eroico e appassionato compito di accompagnare il divino Figlio fin sotto la Croce. Avete notato che la voce di Giuseppe non si sente nemmeno quando il piccolo Gesù sparisce per tre giorni a Gerusalemme? Nel momento in cui finalmente lo ritrovano non è Giuseppe a rimproverarlo bensì Maria. Egli lascia alla sua divina sposa il compito di redarguire dolcemente il bambino, perché nella sua infinita umiltà di padre chiamato da Dio non osa certo rimproverare Colui davanti al quale bisogna solo inginocchiarsi. Soltanto Maria, la Piena di Grazia, poteva avere questa autorità nei confronti del Verbo.










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domenica 9 agosto 2020

LA STRAGE NON SI È FERMATA A BETLEMME



Il 28 dicembre la Chiesa commemora i Santi Innocenti Martiri, ma la strage non si è fermata a Betlemme. Che cos'è l'aborto? L'aborto è una condanna a morte in cui il luogo dell'esecuzione è lo stesso nel quale dovrebbe formarsi, nutrirsi ed essere tutelata una nuova vita. Ci sono due modi per dire "no" alla vita. Il primo è suicidarsi, il secondo è abortire. Nel secondo caso però abbiamo detto "no" al posto di un altro.
La strage continua.








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sabato 25 luglio 2020

OGGI SARAI CON ME IN PARADISO



Questa solenne promessa fatta da Gesù al malfattore agonizzante sulla croce può suscitare alcune perplessità in chi legge la Bibbia. Come mai, potremmo chiederci, se Gesù non ascende subito al Paradiso per ricongiungersi al Padre (sappiamo che rimane 40 giorni sulla Terra prima che questo accada), come mai promette al malfattore pentito che nel giorno stesso della sua morte sarà insieme a Lui nel Regno dei Cieli? Inoltre, se davvero il malfattore ascenderà subito al Paradiso può apparire cosa assai irriverente che la sua ascesa al Cielo preceda addirittura quella del Cristo! La risposta a questa serie di apparenti incongruenze spazio-temporali si trova in quello che già sappiamo di Gesù e che Egli stesso conferma agli apostoli: “IO E IL PADRE SIAMO UNA COSA SOLA” (Giovanni 10, 30). Dunque non dobbiamo meravigliarci che Dio Padre parli alle Sue creature attraverso la voce del Cristo. In quel momento era il Padre che prometteva al malfattore il Paradiso, non il “figlio dell’uomo”, la cui missione sulla Terra non si era ancora conclusa. Avete notato che le ultime frasi pronunciate da Gesù sulla Croce sembrano essere in aperto contrasto tra loro? Questo perché in quegli ultimi istanti le due nature del Cristo, quella umana e quella divina, coesistenti nella Sua Persona, facevano sentire ognuna la propria voce. Accorata e dolorosa quella del Figlio; solenne e luminosa quella del Padre.

Figlio: “Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno.”
Padre: “In verità ti dico: oggi tu sarai con me in Paradiso.”
Figlio: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito."
Padre, Figlio: “Donna, ecco tuo figlio…Ecco tua madre.”
Figlio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Figlio: “Ho sete.”
Padre: “Tutto è compiuto.”







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