venerdì 2 agosto 2024

LA GIOIELLERIA DEL PARADISO

 



Quando ero bambino andavo spesso nel negozio di mio padre. Lui ci passava l'intera giornata, staccava solo per venire a pranzo. Mi piaceva molto andarci perché la visione di tutte quelle meraviglie luccicanti e multicolori mi faceva sognare. Mio padre faceva il gioielliere. Vedendomi estasiato dalla bellezza dai gioielli esposti in vetrina cominciò ad insegnarmi qualcosa. Intendeva rivelarmi un po' alla volta i segreti del mestiere ma lo faceva col tono incantato e trasognato di chi ti sta raccontando una bella favola. Imparai diversi nomi per me buffi ma affascinanti, e nella mia fantasia di bambino nuotavo come un astronauta in un rutilante universo di topazi, zaffiri, smeraldi, rubini. Una mattina vidi mio padre che prima di uscire di casa stava sistemando alcune pietre preziose in una valigetta scura. Dopo averle deposte una per una con meticolosa precisione richiuse la valigetta e prese dal ripiano della scrivania una grossa pistola che infilò nella fondina nascosta sotto la giacca. Era la prima volta che gli vedevo maneggiare un'arma. Chiesi a cosa servisse quella pistola ed egli mi rispose sorridendo: "Con questa faccio scappare via gli uomini cattivi." Gli uomini cattivi. Due li vidi entrare qualche giorno dopo in gioielleria. Era presente anche mia madre in quel giorno disgraziato, l'ultimo in cui ho visto assieme i miei genitori. Il più feroce dei due rapinatori entrò puntando una pistola contro mio padre e gli intimò di riempire velocemente un sacco che il complice teneva aperto. Papà fece un gesto istintivo ma incauto: allungò di scatto un braccio verso il cassetto del bancone in cui teneva la pistola. Purtroppo quel gesto così imprudente e avventato gli costò la vita.

                                    II


Mia madre si occupò negli anni successivi della gestione dell'attività. In principio presa dalla disperazione stava per abbandonare tutto, ma poi preoccupata di garantirmi un futuro dignitoso volle continuare il lavoro del marito. Crescendo cominciai ad aiutarla anch'io in negozio. Quello che da bambino mi era apparso un mondo pieno di incanto e di stupore diventò un po' alla volta la mia realtà quotidiana, il mio lavoro. Imparai più per dovere che per autentica passione tutto quello che papà voleva insegnarmi fin da bambino. Quando la mamma cominciò a farsi più anziana le subentrai nella gestione, e gli affari per fortuna andavano bene. I vecchi clienti non ci abbandonarono ed eravamo circondati dall'affetto e dalla stima degli altri negozianti del quartiere; essi conservavano un buon ricordo di papà, definito da tutti "uomo coraggioso e onesto".

Un giorno, quando avevo compiuto da poco trent'anni, accadde qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la mia vita.

Ero costretto anch'io a camminare armato quando portavo con me una valigetta piena di preziosi, e in negozio tenevo la pistola nel cassetto del bancone dove la teneva riposta anche papà. Quell'arma era per me un oggetto ingombrante, un peso nel cuore, mi ricordava tragicamente il passato e faceva riecheggiare nella mia mente la voce di mio padre quando mi disse sorridente: "Con questa faccio scappare via gli uomini cattivi." Un pomeriggio, verso le quattro, uno strano individuo dall'aspetto inquietante entrò in gioielleria. Avevo riaperto da poco il negozio dopo la pausa pranzo e stavo mettendo a posto degli articoli in una teca blindata quando sentii che la porta d'ingresso si apriva. Mi voltai di scatto pensando che fosse un cliente. Davanti ai miei occhi c'era invece un uomo malvestito e trasandato, visibilmente sudicio e con un'espressione torva che mi pareva assai minacciosa. Si fermò a circa un metro di distanza dal bancone e cominciò a guardarmi senza dire nulla. Ricordando ciò che era accaduto a mio padre aprii subito il cassetto e presi la pistola puntandogliela contro. Gli gridai con voce tremante di andarsene subito altrimenti avrei chiamato la polizia! L'uomo fissò la pistola spaventato, pallido, quasi incredulo, poi si voltò ed uscì in gran fretta dal negozio emettendo un lamento come se davvero gli avessi sparato. Io rimasi immobile con la pistola puntata nel vuoto, provando una infinita vergogna di me stesso e del mio orribile gesto. Quell'uomo probabilmente era entrato in negozio soltanto per chiedere un po' di elemosina. Doveva essere un barbone affamato, disperato, e io invece di provare pietà per la sua misera condizione gli avevo puntato contro un'arma per cacciarlo via come se fosse un feroce bandito. Nei giorni che seguirono non feci altro che aspettare il ritorno di quell'uomo. Ogni volta che sentivo aprirsi la porta del negozio questa speranza si riaccendeva più forte. Se vedevo che si trattava di un cliente rimanevo addirittura deluso! In tanti anni di attività non avevo mai provato una simile sensazione. Anche quando un cliente acquistava un gioiello costosissimo mi sembrava di non aver guadagnato nulla perché sentivo che il vero "guadagno", il vero "profitto", il vero "arricchimento" non poteva venire dalla merce preziosa che avevo sempre venduto ma da qualcosa che aveva un valore molto più alto ed inestimabile, qualcosa che l'apparizione improvvisa di quell'uomo mi aveva dato per la prima volta la possibilità di percepire con sconvolgente chiarezza. Dovetti aspettare diverse settimane prima di poterlo rivedere. Quando mostravo gli articoli ai clienti sbirciavo continuamente verso la porta di ingresso pregando che da un momento all'altro quell'uomo ricomparisse. Finalmente una mattina, mentre mostravo delle fedi nuziali a una coppia di fidanzati, lo rividi sul marciapiede di fronte che si trascinava stancamente fermando i passanti per mendicare qualche spicciolo. Chiesi ai due clienti di avere un attimo di pazienza e corsi fuori chiamando a gran voce quell'uomo. Non appena mi vide da lontano fece la medesima espressione di quando gli puntai contro la pistola e cominciò a scappare terrorizzato. Gli gridai di fermarsi perché non avevo intenzione di fargli del male, ma lui continuava a correre vedendo in me soltanto una pericolosa minaccia. Attraversai la strada e riuscii a raggiungerlo subito perché il suo passo era quello di un individuo debole ed esausto. Lo fermai afferrandolo per un braccio e gli dissi che non doveva avere paura di me, lo rassicurai anzi che poteva venire in negozio quando voleva perché non lo avrei mai più né cacciato né minacciato con la pistola. Lui mi guardava incredulo e diffidente, allora per dimostrargli le mie buone intenzioni presi dal portafoglio cento euro e glieli posi in una mano. Il suo sguardo si trasformò, da cupo e ombroso diventò aperto e rilucente, ricolmo di sorpresa e di gratitudine. I suoi occhi erano diventati come due diamanti preziosi, infinitamente più preziosi di quelli che avevo venduto per anni; essi irradiavano una luce di incomparabile bellezza. Guardando gli occhi di quell'uomo così pieni di riconoscenza decisi che tutto doveva cambiare nella mia vita, volevo essere illuminato ogni giorno da questa luce meravigliosa di fronte alla quale tutti i gioielli che avevo visto fino ad allora mi sembravano falsi e volgari. Di un altro Tesoro volevo essere ricco, e questa incomparabile ricchezza volevo portare nel mondo.


Abbandonai per sempre la mia attività di gioielliere. Quando mia madre chiese spiegazioni riguardo alla mia decisione le dissi che avevo trovato qualcosa con cui avrei finalmente illuminato la mia vita. La gioielleria fu rilevata, mia madre vive oggi della sua pensione ed io conduco una nuova esistenza. Sono un frate francescano. Vivo in un convento e accolgo insieme ai miei confratelli coloro che hanno bisogno dell'unica ricchezza possibile, quella che viene dalle Parole del Vangelo. Vado ogni tanto in giro a distribuire questa incommensurabile ricchezza che scalda e illumina il cuore, e non ho bisogno di portare con me alcuna arma se non la più potente di tutte, quella dell'Amore, la stessa che usò Nostro Signore Gesù Cristo per vincere il mondo.






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