Ogni giorno, davanti al grande Crocifisso ligneo che dominava la parete laterale della navata, decine di fedeli sostavano per pregare e per chiedere una grazia al Signore. C’era chi pregava in silenzio fissando il Volto sofferente di Gesù, chi muoveva appena le labbra in un sussurro accorato e implorante, chi teneva le mani giunte sul petto e un po’ alla volta le stringeva sempre più fino a intrecciare le dita come se si stesse arrampicando all’ultima speranza rimastagli. Il parroco, passando di lì, osservava tutti quei testimoni di tanto dolore e ripeteva in cuor suo, rivolto a Gesù: “Signore, esaudiscili se vuoi.”
Una sera, nel gruppo dei parrocchiani che solitamente sostavano dopo la Messa davanti al Crocifisso, il parroco notò un uomo che non aveva mai visto prima. Poteva avere sui cinquant’anni, era ben vestito, ma ciò che soprattutto lo distingueva dagli altri erano la passione e l’eccezionale fervore con cui pregava. Egli teneva gli occhi fissi in alto verso il Volto di Cristo e piangeva tremando tutto. Tra le espressioni che la voce addolorata non rendeva perfettamente comprensibili, ogni tanto se ne distingueva qualcuna come: “Ti prego!” oppure “Perdonami!” o anche “Che cosa, Signore, che cosa?”. Da quella sera lo vide ancora, quasi tutti i giorni. Dopo la Messa sostava davanti al Crocifisso insieme agli altri fedeli. Come loro pregava e si avvicinava a Gesù per accarezzargli i piedi trafitti dal chiodo e sanguinanti. Come gli altri, dopo aver toccato il chiodo e i piedi si portava la mano alle labbra e la baciava, mandando poi con un gesto quel bacio al Redentore. L’unica cosa che rendeva la sua preghiera diversa da quella degli altri era la forza, l’impeto dell’invocazione che spesso sfociava in pianto dirotto. Il parroco lo guardava commosso, e anche per quel fedele chiese in cuor suo al Signore: “Esaudiscilo, se vuoi”.
Una sera, approfittando del fatto che l’uomo si trovava da solo davanti al Crocifisso poiché la sua preghiera era stata più lunga del solito il parroco, non senza prima aver indugiato ed essersi chiesto se fosse il caso di farlo, decise di avvicinarsi a quell’uomo per parlargli. Non sapendo con quale scusa poteva intraprendere il dialogo con lui, si ricordò che era quasi ora di chiudere il portone della chiesa e disse piano, toccandogli una spalla: “Figliolo, è ora di chiudere. Avrai tempo anche domani per pregare.”
“Mi scusi padre! – rispose l’uomo con imbarazzo –Vado via subito!” Il parroco lo trattenne tenendolo dolcemente per un braccio. “Aspetta, vorrei parlarti un momento. Hai fretta?” “No padre, posso restare ancora un po’.”
Il parroco lo invitò a seguirlo in sagrestia.
"Caro figliolo, - disse facendo una breve pausa per trovare le parole più adatte - io ti guardo ogni giorno mentre sosti in raccoglimento davanti al Crocifisso. Tanta gente si ferma lì per pregare prima e dopo la Messa, ma nessuno lo fa con il tuo stesso fervore. Ed è un fervore che si rinnova ogni giorno sempre con la medesima forza e intensità. So che non dovrei chiedertelo, ma…c’è qualcosa che ti turba, che ti opprime? Stai chiedendo al Signore una Grazia particolare? C’è un grande dolore nella tua vita?” L’uomo sorrise e poi disse: “No padre, tutt’altro. La mia è una vita meravigliosa. Ho un bel lavoro che mi fa guadagnare anche bene, una moglie che mi ama ancora come il primo giorno, due figli stupendi di cui vado fiero. Non ho problemi di salute, né io né i miei cari, e ho tanti amici che mi vogliono bene.” Il parroco lo guardò meravigliato, in silenzio. “Si stupisce padre? – disse l’uomo continuando a sorridere – si stupisce che io venga qui ogni giorno a pregare fino alle lacrime?” “No - rispose il parroco titubante - E’ bellissimo che tu lo faccia. Ma…” “Lei si meraviglia del modo in cui lo faccio, vero?” “Beh…se devo essere sincero…sì, è proprio quello che mi meraviglia adesso.” “Vede padre – continuò l’uomo – ogni giorno incontro persone che soffrono, che hanno problemi terribili, le cui vite spesso sono straziate da tragedie, da sofferenze difficilmente sopportabili. Io invece non ho nulla di tutto questo. Come le dicevo la mia vita è perfetta, invidiabile. So che il Signore ci mette alla prova sia con la sofferenza che con la felicità. A me ha regalato la felicità, e io sento ogni giorno il bisogno di ripagarlo in qualche modo, di ringraziarlo per il grande bene che riempie di luce la mia vita e quella di coloro che amo. Gli chiedo di esserne degno, perché non lo sono, e ho paura che a causa della mia indegnità Egli me lo tolga, questo bene, e mi faccia provare la sofferenza che di sicuro mi renderebbe più consapevole del dolore degli altri.” “Ma no, perché dici questo? –lo interruppe il sacerdote – Il Signore ti fa sentire il Suo affetto nel bene e nell’amore che ti dà. Vivilo con gioia e non pensare che da un momento all’altro possa togliertelo! Eppure - continuo' - dopo tutto quello che mi hai detto, ancora non capisco le tue lacrime, i tuoi pianti davanti alla Croce. Sono lacrime di felicità? Si può piangere di felicità fino a questo punto? Io ti vedo piangere come se fossi addolorato, non felice! Nemmeno coloro che solitamente chiedono una sospirata Grazia al Signore piangono così!” “Le sembra tutto molto eccessivo, vero padre? - rispose l'uomo - Eppure deve credermi se le dico che io sono felice, ma mi sento anche in colpa per il bene che ogni giorno mi dà e che non merito.” La voce gli si incrinò come se stesse per piangere ancora. “Figlio mio - disse il parroco dolcemente carezzandogli una guancia – ma perché pensi di non meritarlo? Hai fatto qualcosa di grave forse?” “No padre, io non ho fatto niente né di male né di bene per meritare tanto! Se avessi peccato fortemente saprei che Egli oggi mi sta aprendo le braccia, e se fossi stato particolarmente buono saprei che Egli mi sta premiando. Ecco perché dico di non meritare tutto questo bene. La mia disperazione viene dal fatto che io so che Lui vuole qualcosa da me e non ho ancora capito che cosa!” Il sacerdote lo guardò in silenzio. Davvero non gli era mai capitato di sentire da un fedele parole simili. “Sa padre che cosa dico al Signore ogni giorno quando sono davanti alla Croce? Finita la preghiera che Lui ci ha insegnato ne recito una mia, personale, nell’attesa che un giorno finalmente mi risponda e mi illumini. Ti prego Signore, ti prego, fammi conoscere la Tua volontà. Sento che la Tua mano si è posata su di me per dirigere la mia vita ma non so ancora in quale direzione andare. Perdonami se non l’ho capito, perdonami! E’ vero che ho già tanto, è vero, ma desidero fare qualcosa di più per Te, e se lo desidero vuol dire che Tu mi stai chiedendo qualcosa. Che cosa Signore, che cosa?”. Pronunciate queste parole l’uomo si passò le mani sugli occhi inumiditi. Il parroco non poté fare a meno di abbracciarlo, avendo trovato in quell’uomo una Fede eccezionale mai riscontrata prima in nessun altro. Lo benedisse, e gli assicurò che Nostro Signore al più presto gli avrebbe fatto capire a quale altissimo compito lo aveva destinato. L’uomo lo ringraziò per la benedizione e fece ritorno a casa con serenità, lodando Gesù per avergli finalmente parlato, e per averlo fatto con la voce di quel sacerdote.
Copyright © Bruno Canale 2017 (Testo)
A volte la felicità può essere una croce più pesante del dolore... Bel racconto Bruno, grazie :)
RispondiEliminaHai ragione Maria Cristina. Soprattutto ti carica di una grande responsabilita', nei confronti di Dio e di coloro che soffrono.
EliminaÈ vero.Il Signore ci chiama e ci fa sentire la Sua presenza.Il mistero sta nei Suoi progetti che Lui ha per noi.
RispondiEliminaSicuramente può farci riflettere.Molto spesso ci di avvicina a Gesu solo quando ci serve qualcosa di importante o se siamo in forte difficoltà. Dovremmo invece soffermarci ogni giorno un attimo e ringraziarlo per il bene che ci dà, anche nelle piccole cose.La fede va alimentata con la preghiera costante e incessante. Dovremmo imparare a cercare il Signore, al di là dei nostri bisogni perché Lui conosce prima di noi ciò che serve alla nostra vita. È un percorso lungo e difficile, ma lui ci accompagna e ci sostiene. Buona preghiera a tutti
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