lunedì 27 novembre 2017

IL GRANDE VIGLIACCO


Il diavolo e' un grande vigliacco. Egli preferisce non mostrarsi, preferisce agire sempre nell'ombra. La nostra immaginazione un po' infantile ci porta a ritenere che egli ci ferisca conficcando i suoi artigli nella nostra carne o infilzaldoci con il suo tridente. Non e' cosi'. Fa di molto peggio. Egli ci ferisce con il tradimento di un amico, con le parole di un familiare che ci urla addosso la sua rabbia e il suo odio, con un nostro collega che per fare carriera sacrifica la nostra amicizia e la nostra fiducia. Ci ferisce con gli insulti di un passante per strada, con lo sguardo diffidente e sospettoso di chi incontriamo sul nostro cammino. Ci ferisce attraverso noi stessi, con i mille pensieri autodistruttivi che ronzano nella nostra mente come calabroni impazziti. Quasi quasi mi verrebbe da augurare a tutti di incontrarlo davvero, "de visu", questo subdolo criminale, per imparare a difendersi consapevolmente dalle sue azioni. Egli e' l'artefice di tutta la nostra infelicita'; origine e causa di ogni peccato, di ogni dolore.









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domenica 19 novembre 2017

GENITORI E FIGLI




"Sono i miei figli perche' li ho fatti io." Un genitore che pensa questo commette un grossolano errore. Nessun essere umano ci appartiene, nessuno e' "mio". Chi mette al mondo un figlio non lo ha creato, piuttosto si e' reso strumento dell'Amore di Dio, l'unico amore che crea. I figli dal canto loro devono amare i genitori perche' essi si sono fatti carico del difficile compito che Dio gli ha affidato: mettere al mondo, curare ed allevare una Sua creatura.



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venerdì 17 novembre 2017

LA PREGHIERA COME RESISTENZA ATTIVA

La preghiera non è una condizione passiva. Il fedele invoca, chiede qualcosa al Signore ma nel contempo si impegna solennemente a fare qualcosa per Lui. Il Padre Nostro, nelle sue poche e splendide parole, contiene allo stesso tempo un atto di adorazione, un’accorata invocazione e un impegno a cui il credente si vincola con una promessa che va mantenuta. Adoriamo il Signore dicendo: “Padre Nostro che sei nei Cieli, sia santificato il Tuo Nome”. Esprimiamo un desiderio fondamentale dell’anima quando esclamiamo con fiducia di figli: “Venga il Tuo Regno, sia fatta la Tua Volontà”. E ancora imploriamo il nutrimento del corpo e dell’anima chiedendo il “nostro Pane quotidiano”. Supplichiamo speranzosi il Suo perdono e ci impegniamo a perdonare i nostri fratelli dicendo: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. E ancora: “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”. Quell’espressione così controversa che inizia col “Non indurci…” lascerebbe pensare che sia il Signore a metterci in condizione di essere tentati dal Maligno. In realtà anche con queste parole noi ci stiamo impegnando a resistere con tutta la nostra forza, e con il Suo provvidenziale aiuto, alle molteplici tentazioni con cui il Maligno ci investe ogni giorno della nostra vita. Dunque la preghiera va vissuta come atto di resistenza attiva e non passiva contro le spire del demonio. Ogni volta che recitiamo il Padre Nostro ci stiamo impegnando davanti al Signore a fare concretamente qualcosa per Lui e per la nostra salvezza. Facciamo in modo che quelle meravigliose parole non rimangano tali, e non abbiano tra le nostre labbra il sapore di una promessa non mantenuta.




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martedì 14 novembre 2017

L'ONERE DELLA PROVA


Secondo l’ordinamento giuridico italiano chi vuole dimostrare l’esistenza di un fatto ha l’obbligo di “provare” il fatto di cui parla. Dunque l’onere della prova non è a carico di chi nega quel fatto, ma di chi vuole dimostrarlo. Spostandoci dall’ambito giuridico a quello religioso, nell’infinito dibattito tra atei e credenti circa l’esistenza di Dio sembra dunque che la prova dell’esistenza di Dio sia a carico del credente, in quanto egli “afferma” che Dio esiste. Eppure, il principio dell’onere della prova in questo ambito trova degli ostacoli che ne rovesciano completamente il senso. Il credente infatti afferma che Dio esiste ma non ha l’obbligo di dimostrarlo, poiché la sua certezza poggia su qualcosa di inconfutabile e indiscutibile: la Fede. Basta una Fede forte e convinta a ritenere che Dio esista, anche senza bisogno di prove. Gesù disse: “Beati coloro che crederanno senza aver veduto.” Il non credente, invece, afferma con convinzione categorica che Dio non esiste. Ma su cosa poggia questa sua certezza? Egli parla genericamente di razionalità, di buon senso, di logica, ma non ha alcuna prova per supportare concretamente la sua tesi. Anche quando afferma che non c’è nessun Al di là non ha la minima possibilità di dimostrarlo, perché egli non è ancora morto. Dunque, nella disputa circa l’esistenza di Dio sono gli atei ad avere l’obbligo di fornire una dimostrazione convincente in quanto ai fedeli basta la Fede per credere. Inoltre l’ateo non si limita a negare ciò che i credenti dicono ma fa una vera e propria affermazione quando dice: “Dio non esiste!” Per questo motivo l’onere della prova ricade solo su di lui.





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giovedì 9 novembre 2017

LA METAFORA DEL SOLE

Voglio proporvi una metafora. Immaginiamo che il sole rappresenti Dio, la Sua potenza, la Sua presenza costante e vivificante che inonda di Luce e di vita il mondo e le Sue creature. Immaginiamo adesso tre categorie di persone. La prima categoria è composta da coloro i quali, pur beneficiando del calore del sole che nutre e illumina i loro corpi si dimostrano del tutto indifferenti a questa grazia che gli viene donata ogni giorno. Essi non parlano mai del sole e non sentono il bisogno di dare il giusto valore alla sua provvidenziale esistenza. Nemmeno immaginano che cosa accadrebbe se il sole non ci fosse più. La seconda categoria è composta invece da coloro che godono pienamente della sua luce e del suo calore, coloro che riconoscono in lui la fonte primaria di ogni bene, potenza che dona vita ed energia, splendore mattutino che allontana le tenebre della notte, quotidiana gioia del risveglio per l’inizio di un nuovo giorno. Essi provano immensa gratitudine verso colui che alimenta di luce ogni creatura e ogni elemento della Terra, dal filo d’erba al cuore dell’uomo. Per ultima c’è una terza categoria, che al giorno d’oggi sta diventando sempre più numerosa: sono coloro i quali, pur beneficiando come gli altri della luce e del calore del sole, affermano con assoluta certezza che il sole non esiste.








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mercoledì 8 novembre 2017

NOVE COSE CHE DOBBIAMO RICORDARE PER IMPARARE AD ESSERE UMILI



 1) Il bagaglio delle nostre conoscenze è legato al momento storico in cui abbiamo vissuto e alla nostra personalissima esperienza di vita. Non sentiamo il dovere di trasmetterlo agli altri come un tesoro da tramandare! Il mondo cambia. Molto presto la nostra esperienza di vita sarà come una moneta fuori corso.

 2) Se pensiamo di essere delle persone speciali non correremo il rischio di sentirci soli. Nel mondo ci sono almeno sette miliardi di persone “speciali”.

 3) Dovremmo imparare a inginocchiarci più spesso, e non soltanto per cambiare la ruota bucata della nostra auto.

 4) Non portiamo davanti allo specchio soltanto il nostro corpo e i vestiti più o meno eleganti che lo ricoprono. Portiamo anche la nostra coscienza. E che sia nuda.

 5) Invece di ingigantire il peso della solitudine che ci fa soffrire, guardiamoci intorno per capire se c’è qualcuno che ha bisogno della nostra compagnia.

 6) Evitiamo di correggere gli errori degli altri, se non siamo stati capaci di farlo con i nostri.

 7) Ascoltiamo tutti con attenzione. Da ognuno c’è qualcosa da imparare. Molti anni fa lessi in un’agenda una frase molto bella: “Nessuno ha sempre torto. Anche un orologio fermo ha ragione due volte al giorno.” Se pensiamo che la ragione stia solo dalla nostra parte, rischiamo di avere più torto di un orologio fermo.

 8) L’ateismo non è una libera scelta o una questione di opinioni personali. E’ il rifiuto di qualcosa: dover accettare che esiste qualcuno molto più grande e intelligente di noi davanti al quale dobbiamo solo chinare il capo e piegare le nostre ginocchia.

 9) Come esercizio propedeutico proviamo a ripetere più volte al giorno, anche solo mentalmente: “Io sono uno dei tanti, sono uno qualsiasi.” Ripetiamolo anche camminando tra la gente, disperdendoci nella folla o salendo su un mezzo pubblico.
“Io sono uno dei tanti, sono uno qualsiasi.”






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giovedì 2 novembre 2017

UNA FEDE ECCEZIONALE


Ogni giorno, davanti al grande Crocifisso ligneo che dominava la parete laterale della navata, decine di fedeli sostavano per pregare e per chiedere una grazia al Signore. C’era chi pregava in silenzio fissando il Volto sofferente di Gesù, chi muoveva appena le labbra in un sussurro accorato e implorante, chi teneva le mani giunte sul petto e un po’ alla volta le stringeva sempre più fino a intrecciare le dita come se si stesse arrampicando all’ultima speranza rimastagli. Il parroco, passando di lì, osservava tutti quei testimoni di tanto dolore e ripeteva in cuor suo, rivolto a Gesù: “Signore, esaudiscili se vuoi.”
Una sera, nel gruppo dei parrocchiani che solitamente sostavano dopo la Messa davanti al Crocifisso, il parroco notò un uomo che non aveva mai visto prima. Poteva avere sui cinquant’anni, era ben vestito, ma ciò che soprattutto lo distingueva dagli altri erano la passione e l’eccezionale fervore con cui pregava. Egli teneva gli occhi fissi in alto verso il Volto di Cristo e piangeva tremando tutto. Tra le espressioni che la voce addolorata non rendeva perfettamente comprensibili, ogni tanto se ne distingueva qualcuna come: “Ti prego!” oppure “Perdonami!” o anche “Che cosa, Signore, che cosa?”. Da quella sera lo vide ancora, quasi tutti i giorni. Dopo la Messa sostava davanti al Crocifisso insieme agli altri fedeli. Come loro pregava e si avvicinava a Gesù per accarezzargli i piedi trafitti dal chiodo e sanguinanti. Come gli altri, dopo aver toccato il chiodo e i piedi si portava la mano alle labbra e la baciava, mandando poi con un gesto quel bacio al Redentore. L’unica cosa che rendeva la sua preghiera diversa da quella degli altri era la forza, l’impeto dell’invocazione che spesso sfociava in pianto dirotto. Il parroco lo guardava commosso, e anche per quel fedele chiese in cuor suo al Signore: “Esaudiscilo, se vuoi”.
Una sera, approfittando del fatto che l’uomo si trovava da solo davanti al Crocifisso poiché la sua preghiera era stata più lunga del solito il parroco, non senza prima aver indugiato ed essersi chiesto se fosse il caso di farlo, decise di avvicinarsi a quell’uomo per parlargli. Non sapendo con quale scusa poteva intraprendere il dialogo con lui, si ricordò che era quasi ora di chiudere il portone della chiesa e disse piano, toccandogli una spalla: “Figliolo, è ora di chiudere. Avrai tempo anche domani per pregare.”
“Mi scusi padre! – rispose l’uomo con imbarazzo –Vado via subito!” Il parroco lo trattenne tenendolo dolcemente per un braccio. “Aspetta, vorrei parlarti un momento. Hai fretta?” “No padre, posso restare ancora un po’.”
Il parroco lo invitò a seguirlo in sagrestia.
"Caro figliolo, - disse facendo una breve pausa per trovare le parole più adatte - io ti guardo ogni giorno mentre sosti in raccoglimento davanti al Crocifisso. Tanta gente si ferma lì per pregare prima e dopo la Messa, ma nessuno lo fa con il tuo stesso fervore. Ed è un fervore che si rinnova ogni giorno sempre con la medesima forza e intensità. So che non dovrei chiedertelo, ma…c’è qualcosa che ti turba, che ti opprime? Stai chiedendo al Signore una Grazia particolare? C’è un grande dolore nella tua vita?” L’uomo sorrise e poi disse: “No padre, tutt’altro. La mia è una vita meravigliosa. Ho un bel lavoro che mi fa guadagnare anche bene, una moglie che mi ama ancora come il primo giorno, due figli stupendi di cui vado fiero. Non ho problemi di salute, né io né i miei cari, e ho tanti amici che mi vogliono bene.” Il parroco lo guardò meravigliato, in silenzio. “Si stupisce padre? – disse l’uomo continuando a sorridere – si stupisce che io venga qui ogni giorno a pregare fino alle lacrime?” “No - rispose il parroco titubante - E’ bellissimo che tu lo faccia. Ma…” “Lei si meraviglia del modo in cui lo faccio, vero?” “Beh…se devo essere sincero…sì, è proprio quello che mi meraviglia adesso.” “Vede padre – continuò l’uomo – ogni giorno incontro persone che soffrono, che hanno problemi terribili, le cui vite spesso sono straziate da tragedie, da sofferenze difficilmente sopportabili. Io invece non ho nulla di tutto questo. Come le dicevo la mia vita è perfetta, invidiabile. So che il Signore ci mette alla prova sia con la sofferenza che con la felicità. A me ha regalato la felicità, e io sento ogni giorno il bisogno di ripagarlo in qualche modo, di ringraziarlo per il grande bene che riempie di luce la mia vita e quella di coloro che amo. Gli chiedo di esserne degno, perché non lo sono, e ho paura che a causa della mia indegnità Egli me lo tolga, questo bene, e mi faccia provare la sofferenza che di sicuro mi renderebbe più consapevole del dolore degli altri.” “Ma no, perché dici questo? –lo interruppe il sacerdote – Il Signore ti fa sentire il Suo affetto nel bene e nell’amore che ti dà. Vivilo con gioia e non pensare che da un momento all’altro possa togliertelo! Eppure - continuo' - dopo tutto quello che mi hai detto, ancora non capisco le tue lacrime, i tuoi pianti davanti alla Croce. Sono lacrime di felicità? Si può piangere di felicità fino a questo punto? Io ti vedo piangere come se fossi addolorato, non felice! Nemmeno coloro che solitamente chiedono una sospirata Grazia al Signore piangono così!” “Le sembra tutto molto eccessivo, vero padre? - rispose l'uomo - Eppure deve credermi se le dico che io sono felice, ma mi sento anche in colpa per il bene che ogni giorno mi dà e che non merito.” La voce gli si incrinò come se stesse per piangere ancora. “Figlio mio - disse il parroco dolcemente carezzandogli una guancia – ma perché pensi di non meritarlo? Hai fatto qualcosa di grave forse?” “No padre, io non ho fatto niente né di male né di bene per meritare tanto! Se avessi peccato fortemente saprei che Egli oggi mi sta aprendo le braccia, e se fossi stato particolarmente buono saprei che Egli mi sta premiando. Ecco perché dico di non meritare tutto questo bene. La mia disperazione viene dal fatto che io so che Lui vuole qualcosa da me e non ho ancora capito che cosa!” Il sacerdote lo guardò in silenzio. Davvero non gli era mai capitato di sentire da un fedele parole simili. “Sa padre che cosa dico al Signore ogni giorno quando sono davanti alla Croce? Finita la preghiera che Lui ci ha insegnato ne recito una mia, personale, nell’attesa che un giorno finalmente mi risponda e mi illumini. Ti prego Signore, ti prego, fammi conoscere la Tua volontà. Sento che la Tua mano si è posata su di me per dirigere la mia vita ma non so ancora in quale direzione andare. Perdonami se non l’ho capito, perdonami! E’ vero che ho già tanto, è vero, ma desidero fare qualcosa di più per Te, e se lo desidero vuol dire che Tu mi stai chiedendo qualcosa. Che cosa Signore, che cosa?”. Pronunciate queste parole l’uomo si passò le mani sugli occhi inumiditi. Il parroco non poté fare a meno di abbracciarlo, avendo trovato in quell’uomo una Fede eccezionale mai riscontrata prima in nessun altro. Lo benedisse, e gli assicurò che Nostro Signore al più presto gli avrebbe fatto capire a quale altissimo compito lo aveva destinato. L’uomo lo ringraziò per la benedizione e fece ritorno a casa con serenità, lodando Gesù per avergli finalmente parlato, e per averlo fatto con la voce di quel sacerdote.





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