Il 9 novembre appena trascorso abbiamo celebrato i trent'anni dall'abbattimento del muro di Berlino. Molte vite sono dovute cadere per far innalzare quel muro che ha spezzato in due non solo la dignità di un popolo, ma di un intero continente. Tante altre ne sono dovute cadere per poterlo abbattere. Ricordo che questo evento fu salutato con gioia e speranza dal popolo tedesco e da tutti i popoli europei. Fu interpretato come segno di svolta, di rinnovamento, di riscatto, al punto che l'immagine di un muro che divide le persone e che crolla sotto i colpi di uno spirito nuovo è diventata addirittura proverbiale. Ma è davvero tutt'oro quel che riluce? L'abbattimento del muro non è giunto del tutto inatteso. Esso è stato il preannuncio dell'imminente fine dell'impero sovietico. Quello che sarebbe stato impensabile qualche anno prima, in piena guerra fredda, è diventato realizzabile con la fine delle tensioni tra Est e Ovest. Dunque l'abbattimento del muro di Berlino non è stato uno spontaneo e naturale atto di ribellione contro l'ingiustizia di un mondo spaccato in due, non è stato frutto di un anelito collettivo di libertà ma solo la conseguenza di una trasformazione politica in atto. In realtà è stato l'occidente trionfante ad abbattere il muro per anticipare una vittoria che stava già maturando nelle stanze del potere. Ma che cosa è cambiato per gli europei? Devo dire che sono molto pessimista sulla tanto invocata unità del nostro martoriato continente, e adesso mi esprimerò con un linguaggio molto più schietto e severo. Gli europei si sono scannati per secoli. La loro ottusa consuetudine a farsi la guerra si perde davvero nella notte dei tempi. Non dimentichiamo che sono stati loro a provocare ben due catastrofiche guerre mondiali, ineguagliabili cataclismi bellici che hanno avuto il loro epicentro nel continente europeo prima di coinvolgere il resto del mondo. Abbiamo colonizzato buona parte dell'Africa e dell'Asia, e ancora prima abbiamo sterminato i popoli autoctoni del Sudamerica, lì dove oggi si parla spagnolo, una lingua europea. Nell'America del nord abbiamo falcidiato le tribù pellerossa confinandone i pochi superstiti in riserve come se fossero animali in estinzione. Oggi lì si parla inglese, una lingua europea. Insomma abbiamo rotto le scatole a mezzo mondo lasciando ovunque una scia di sangue e il suono dei nostri idiomi. Devo constatare che se gli europei non si fanno la guerra dal 1945 non è perché siano cresciuti, ma perché siamo controllati dalla presenza militare degli Stati Uniti. Sono sicuro che se domattina gli Stati Uniti dovessero annunciare di voler sciogliere la Nato e di togliere tutte le basi dall'Europa lasciandoci liberi di seguire il nostro destino, i motori dei carri armati e di tutta la macchina bellica europea comincerebbero a scaldarsi di nuovo. Ciò che è accaduto nella ex Jugoslavia dal 1991 accadrebbe in tutto il continente. Perché scoppiò la guerra in Jugoslavia? Perché la Jugoslavia era un Paese libero, non allineato, non più sotto l'influenza politica dell'Unione Sovietica e senza alcuna presenza militare da parte degli Stati Uniti. Dunque il nostro sfortunato e dannato continente è stato capace di far tuonare i cannoni perfino in tempo di pace. Oggi dobbiamo sì festeggiare la caduta di un muro che ha diviso i popoli per creare un recinto protettivo intorno all'orgoglio dei potenti, ma dobbiamo anche invocare maggiore consapevolezza, maturità, coscienza affinché ancora una volta si gridi con angoscia e con un residuo briciolo di speranza, in Europa e nel resto del mondo: "MAI PIÙ LA GUERRA!"
Copyright © Bruno Canale 2019 (Testo)
Nessun commento:
Posta un commento