domenica 24 marzo 2019

È COLPA DELLA CHIESA?




Al giorno d’oggi si tende a giustificare la scarsa partecipazione dei fedeli alla Messa cercandone la causa negli scandali e negli errori di cui la Chiesa si è resa responsabile. La spiegazione più ricorrente è: “La Chiesa è sempre meno coerente col messaggio evangelico”. Ancora la vecchia scusa, ancora la storia della volpe che non riesce a raggiungere l’uva e dice che l’uva non è buona. Molti fedeli, distratti forse da obiettivi più mondani e allettanti, non riescono più a stabilire un serio legame spirituale con quello che la Chiesa proclama e che l’Eucaristia celebra. Questa pigrizia genera in molti individui un’invincibile avversione verso tutto ciò che riguarda l’aspetto rituale della Fede e la sua ripetizione quotidiana o domenicale. Si comincia col dire: “Sono cattolico ma non praticante”, per poi affermare: “Sono cristiano ma non cattolico”, e proseguire poi con “Io credo in Dio ma non nella Chiesa perché la Chiesa è gestita da uomini". Infine si sfocia nella deriva relativista di coloro che affermano con orgoglio: “Decido io in cosa credere. Il Dio in cui credo non è quello della Chiesa e della Bibbia. Io non accetto regole!”. Invece di capire quale deficienza interiore possa condurre a una simile autarchia, a un simile rifiuto della dimensione liturgica e comunitaria che ci invita a condividere la preghiera, l’ascolto della Parola e la gioia del Banchetto Eucaristico, gli insofferenti individualisti accusano la Chiesa di averli scandalizzati al punto da suscitare in loro un legittimo rifiuto e un desiderio di fuga. Se a costoro, come ad altri fedeli "scandalizzati", sono bastati gli errori della Chiesa per non partecipare più alla Santa Messa, vuol dire che la loro Fede non era autentica e aspettava un pretesto qualsiasi per rivelare la sua vera faccia.






Copyright©Bruno Canale 2019 (Testo) 

lunedì 4 marzo 2019

IL PICCOLO YESHUA



Era mattina a Gerusalemme, e alcuni bambini stavano giocando quando delle forti grida li attirarono. Interruppero i loro giochi e corsero tutti insieme a vedere che cosa stava accadendo. Si trovarono di fronte a un muro di persone che strepitavano e inveivano contro qualcuno che stava passando sulla via, ma non riuscivano a vedere chi fosse. Spinti dalla forte curiosità si infilarono in mezzo ai piedi dei grandi per vedere meglio. Videro i soldati romani che procedevano assestando duri passi sulla terra e sollevando tanta polvere. Quegli uomini il cui passo era appesantito da robuste armature procedevano urlando alla folla di farsi da parte. In mezzo ai soldati c'era un uomo con le vesti sporche di sangue, che avanzava curvo sotto il peso di due grosse travi di legno incrociate. La polvere non lasciava distinguere bene il suo volto. Uno dei bambini, Yeshua, il più audace e curioso di tutti, sgattaiolò tra i piedi degli adulti e si spinse più in là per avvicinarsi e guardare meglio. Riconobbe colui del quale tutti parlavano con insistenza da diversi giorni. Veniva da Nazareth e parlava di amore e di pace. Aveva rimproverato chi tratta male i bambini perché lui li amava. "Ma come mai - si domandò Yeshua - quando è entrato in città lo hanno accolto con tanto entusiasmo e oggi invece lo trattano così?". Ricordava con gioia il suo trionfale ingresso in Gerusalemme tra la folla che lo acclamava come un re. Anche suo padre e sua madre erano andati ad accoglierlo agitando festosamente rami di palma. Gli era sembrato tutto così bello! E adesso invece, che tristezza vederlo avanzare a fatica sotto il peso di due enormi travi di legno, umiliato e deriso, insultato e odiato anche da coloro che lo avevano osannato. A un tratto l'uomo cadde con la faccia nella polvere e i soldati lo costrinsero a rialzarsi strattonandolo e prendendolo a calci. Yeshua provò una gran pena per lui. Avrebbe voluto essere già grande per aiutarlo a rialzarsi. Quello straniero gli era simpatico perché non aveva fatto del male a nessuno e anche perché portava il suo stesso nome. "Un nome importante! - diceva sempre sua madre - Sai che cosa vuol dire il nome che io e tuo padre ti abbiamo dato? Che tu sei protetto dal nostro Dio, un Dio che salva! ". Con grande coraggio il piccolo superò la fila dei soldati e si avvicinò all'uomo che reggeva la croce, al punto che poteva quasi toccarlo. Ricurvo e gemente per il dolore, il poverino avanzava sotto il peso di quel legno infame e investito da spaventose ingiurie che gli piovevano addosso da ogni lato. Aveva i capelli bagnati di sangue e sudore. Come se avesse letto nel cuore del bambino il desiderio di guardarlo in volto, il condannato si fermò per riprendere fiato e diresse lo sguardo stanco e sofferente su di lui. Il piccolo Yeshua poté finalmente osservarlo con attenzione. Gli occhi erano socchiusi come candele che stanno per spegnersi. Il volto era gonfio e ferito, deturpato da chissà quante percosse inferte senza pietà. Rivoli di sangue scorrevano nei capelli e sulla barba a causa di un casco di rovi spinosi che gli era stato posto sul capo. Il piccolo rimase impressionato dallo spettacolo di tanta cattiveria, ma soprattutto dalla incredibile capacità che aveva quell'uomo di subirla senza reagire. Mentre continuava a fissarlo sbalordito l'uomo gli sorrise disgiungendo appena le labbra tumefatte e guardò il piccolo con grande amore. Un soldato gridò a Yeshua di allontanarsi e poi riprese a urlare verso il condannato per incitarlo brutalmente a proseguire. Con la poca forza che ancora aveva l'uomo strinse tra le mani il legno della croce, che era la sua condanna, e riprese a camminare scortato dai soldati che lo conducevano alla collina del Golgota tra le risa e gli insulti della gente. All'improvviso Yeshua si sentì afferrare la mano da qualcuno. Era il padre che lo stava cercando con grande ansia. "Sì può sapere che cosa ci fai qui? Non stavi giocando con i tuoi compagni? Andiamo a casa! Queste non sono cose per bambini!". Il piccolo fece un po' di resistenza ma il padre lo portò via con forza lontano dalla folla per ricondurlo a casa, al sicuro. Mentre camminavano insieme l'uno accanto all'altro, senza parlare, Yeshua ogni tanto si voltava indietro pensando con tristezza alla sofferenza che tutti stavano provocando a quell'uomo così solo e sperduto in una tempesta di odio. Poi rivolse al padre la stessa domanda che aveva posto a se stesso. "Papà, ma perché pochi giorni fa quell'uomo è stato festeggiato e oggi invece lo trattano così? Che cosa ha fatto di male?". Il padre non rispose. Aveva un'espressione seria e guardava dritto davanti a sé senza mai voltarsi indietro. Il bambino aspettò un poco e poi ripeté la domanda col tono incalzante di chi esige una risposta. L'uomo sospirò e continuò a guardare davanti a sé. Poi finalmente rispose, con voce malinconica: "Ci sono cose che non puoi capire perché sei ancora troppo piccolo Yeshua. Ma forse un giorno capirai". Il bambino, sentite queste parole, espresse un desiderio. Pregò il Signore di non farlo crescere mai perché non aveva nessuna intenzione di capire ciò che al mondo sembra normale ma che a lui, pur così piccolo, era già apparsa come un'insopportabile e dolorosa ingiustizia.











Copyright© Bruno Canale 2019 (Testo)